Milano, 28 mag. (askanews) – In principio era lo Space Shuttle – questo è il Columbia con a bordo gli astronauti italiani Cheli e Guidoni, nel 1996 – cioé una navetta spaziale completamente riutilizzabile, capace in pratica di tornare nello Spazio più volte senza subire danni significativi dalle alte temperature generate dall’attrito con l’atmosfera al rientro sulla Terra. Oggi, quella del riutilizzo in ambito aerospaziale è la filosofia dominante, basti pensare alla Space X che riesce a riutilizzare non solo la navetta Crew Dragon ma anche il lanciatore Falcon 9.
Proprio in quest’ottica, in Italia è nato il progetto AMaCA (Approccio Multiscala per la Modellazione di Materiali CMC e UHTCMC per Componenti Riutilizzabili per l’Aerospazio) del Politecnico di Milano, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e realizzato in collaborazione con il CIRA, Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali, l’ISSMC, Istituto di Scienza, Tecnologia e Sostenibilità per lo sviluppo dei Materiali Ceramici del CNR e Petroceramics.
Alessandro Airoldi, professore del Politecnico di Milano.
“Quello che ha voluto come obiettivo il progetto – ha spiegato – è di mettere le basi per sviluppare procedure e protocolli, in maniera tale che la progettazione di questi veicoli riutilizzabili, con questi materiali, diventi un processo ingegneristico replicabile, sicuro ed affidabile. Un po’ quello che succede al giorno d’oggi con i normali aerei sui quali vogliamo ogni giorno”.
L’attrito del rientro nell’atmosfera genera un plasma incandescente per cui sono necessari scudi termici per proteggere le navette e i propri occupanti. I compositi a matrice ceramica studiati, sono però capaci di resistere allo shock termico senza subire danni e il progetto Amaca, grazie agli esperimenti nelle gallerie del plasma, ha messo le basi per progettare e realizzare strutture che saranno fondamentali nell’industria aerospaziale del futuro.
“Possono rappresentare essi stessi la struttura della navicella – ha concluso Airoldi – quindi anche parzialmente eliminando la necessità di un’altra componente strutturale o di uno scudo termico vero e proprio”.
I risultati dello studio italiano, infatti, confermano che questi materiali forniscono la concreta possibilità di sviluppare termostrutture aerospaziali leggere, riducendo i costi di sviluppo ed aumentandone la sicurezza.