Roma, 6 set. (askanews) – È una lettera d’amore di una figlia verso suo padre “Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, Fuori Concorso, e nelle sale dal 26 settembre. Un film molto personale che la regista ha detto di aver voluto fare da sempre ma di aver rimandato non sentendosi pronta. “Avevo bisogno di avere del tempo, proprio il tempo che ci vuole per elaborare tutti questi momenti di vita”.
Poi le chiusure con il Covid, il cinema fermo, l’angoscia. “Lì è emerso in un modo molto prepotente, il bisogno, il desiderio di rendere questo omaggio, di scrivere questa lettera d’amore al tempo stesso sia alla figura di mio padre come regista che come padre e al tempo stesso al cinema”.
Il padre, Luigi Comencini, è interpretato da Fabrizio Gifuni, nei suoi panni, invece, c’è Francesca Romana Maggiora Vergano. Una bella sfida per i due attori. “Sarò in grado? Sarò all’altezza? – si è chiesta Francesca Romana Maggiora Vergano – è la stessa domanda che la figlia si fa durante tutta la storia, e lì mi sono sentita più leggera, perché ho detto: cavalco questa sensazione”. “Francesca ci ha accompagnati raccontando la storia di un padre e di una figlia, bambina, adolescente, adulta e di un uomo che invecchia, in cui i rapporti di forza cambiano per raccontare una storia, e credo questa sia la forza del film che sta emozionando, universale” ha raccontato Gifuni.
Nel film si racconta un padre la cui vita è il cinema, ma capace di metterlo da parte al bisogno, specie per sua figlia. “Mi ha salvato la vita, assolutamente era quello che volevo anche raccontare, è stato un uomo molto coraggioso, molto integro. E ho voluto anche raccontare questa gratitudine nei suoi confronti e anche questo altro suo insegnamento, dell’importanza del fallimento e dell’onestà nel dire tutti abbiamo fallito, anche le persone che noi pensiamo essere più di successo…, penso sia stato un altro dei suoi insegnamenti molto molto importanti e che cerco di trasmettere con questo film anche in relazione a quel momento della mia adolescenza, ormai è molto lontano, data la mia età, però in cui ho avuto un problema di dipendenza da una sostanza, di raccontare che non è uno stigma, non è una vergogna”.