Roma, 21 mag. (askanews) – La cura per il trattamento dell’ipertensione non controllata ha un’arma in più: la denervazione o ablazione renale, una procedura endovascolare minimamente invasiva che consiste nella disattivazione selettiva di una parte delle terminazioni nervose lungo le pareti esterne delle arterie renali, determinando una duratura riduzione della pressione sanguigna arteriosa.
La procedura, secondo le nuove Linee Guida della European Society of Hypertension (ESH), insieme alle terapie farmacologiche e a sani stili di vita, rappresenta un vero e proprio terzo pilastro nella gestione della malattia.
Spiega ad Askanews Matteo Montorfano, primario dell’Unità Operativa di Cardiologia Interventistica ed Emodinamica presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele: “L’ipertensione arteriosa è una delle prime cause di morte secondo l’organizzazione Mondiale della sanità ,è uno dei principali rischi cardiovascolari: a livello mondiale siamo possiamo calcolare circa un milione e trecentomila ipertesi all’anno, una popolazione molto ampia ,e questa popolazione è sopra al 50% se pensiamo a pazienti o soggetti sopra i 50 anni quindi è il principale fattore di rischio cardiovascolare”.
Stili di vita salutari, insieme ai farmaci, sono stati fino ad oggi le terapie per la gestione della patologia, ma non sempre i pazienti seguono scrupolosamente le indicazioni dei sanitari:
“Non è mica detto che l’aderenza, quella che noi chiamiamo la compliance dei pazienti allo stile di vita – l’attività fisica, fare la dieta, essere attenti all’alimentazione e l’utilizzo di farmaci – è sempre qualcosa che viene seguito con attenzione e costanza. E se l’ipertensione non viene controllata, chiaramente è un killer silente.
Questo nuovo device non è altro che una sorta di ablatore, che va a distruggere le terminazioni nervose che mettono in contatto il rene con il nostro cervello, il nostro sistema nervoso centrale. Il controllo della pressione è multifattoriale quindi abbiamo vari elementi che controllano la pressione. Uno di questi elementi è il sistema simpatico e questo sistema simpatico è fatto appunto da questo circuito che va dalle terminazioni nervose a livello renale e che mette in contatto il sistema nervoso centrale.
Attraverso questi device che introduciamo in modo transitorio nel nostro organismo, con una puntura dell’arteria femorale che passa a livello dell’inguine, saliamo con un piccolo cateterino e sotto guida fluoroscopica raggiungiamo le arterie renali, entriamo con questo cateterino, eroghiamo radiofrequenza energia e questa energia determina la cauterizzazione quindi la distruzione di queste terminazioni nervose”.
La procedura si effettua in sedazione profonda e richiede una giornata o due di ricovero in centri specializzati che abbiano competenze vascolari e di cardiologia interventistica.
“Al San Raffaele – spiega il professore – abbiamo iniziato questo tipo di procedura già diversi anni or sono seguendo i vari studi sperimentali su questo tipo di device e oggi giorno siamo un Centro di riferimento per i malati che nonostante l’utilizzo di tre farmaci non sono responsivi alla terapia antipertensiva e quindi hanno necessità di ricorrere a questo trattamento .Chiaramente i malati che hanno indicazione a questo tipo di procedura non sono solo quelli non responsivi ma sono anche quelli che per motivi di vario genere non assorbono i farmaci antipertensivi o hanno delle intolleranze molto marcate”.
“E’ una procedura che dura nel tempo , ha una sua durability, può comportare in alcuni casi anche la riduzione della posologia dei farmaci ma – avverte – non ha come indicazione certo la riduzione della posologia: è sinergica o è alternativa nel momento in cui questi dovessero essere non assorbiti per qualche motivo o il malato dovesse essere intollerante”.