Roma, 7 dic. (askanews) – Un’indagine delle agenzie France Pressee e Reuters sull’attentato che ha ucciso un giornalista nel Sud del Libano il 13 ottobre scorso, indica che l’attacco è arrivato da un bombardamento israeliano. Sono rimasti feriti anche altri sei giornalisti: due della Reuters, due di Al Jazeera e due della France Presse, tra cui la fotografa Christina Assi, tuttora ricoverata in ospedale in Libano, che ha raccontato l’accaduto.
“Eravamo in un’area esposta, tutti noi, indossando i nostri elmetti, i nostri giubbotti, facendo il nostro lavoro, coprendo gli scontri, e mantenendoci a distanza di sicurezza dalla linea del fronte, quindi fondamentalmente eravamo in una zona davvero sicura – ci sentivamo al sicuro”. “All’improvviso, c’è come un bianco, bianco, non so, come un bianco, come se tutto diventasse bianco, e perdo la sensibilità nelle gambe, e inizio a gridare aiuto. Dylan (Collins) si precipita in avanti per aiutarmi, ma pochi secondi dopo veniamo attaccati da un altro colpo israeliano”. “E questa volta, il secondo attacco ha colpito il veicolo di Al Jazeera che ha iniziato a bruciare ed era lì vicino, quindi volevo che qualcuno mi tirasse da parte per non bruciare, non volevo essere bruciata dal fuoco, dalle fiamme, ma non c’era nessuno, quindi l’unica cosa che ho potuto fare è salvarmi strisciando”.
Christina ha raccontato di essere stata poi trascinata via da un collega di una tv libanese a cui sarà sempre grata, ricorda vagamente il viaggio in ambulanza e l’arrivo in ospedale prima di perdere i sensi. “Ho pubblicato una storia che mostrava quanto il fumo fosse lontano da noi, non era vicino – spiega ancora – in realtà non c’era Hamas intorno a noi, non c’era Hezbollah, non c’era nessuno, eravamo solo un gruppo di giornalisti che facevano il loro lavoro, e siamo stati attaccati da Israele due volte, non una, il che ha comportato l’amputazione della mia gamba e ora devo rimanere in ospedale per molto tempo finché non mi riprendo”. Amnesty International e Human Rights Watch ritengono che l’attentato meriti un’indagine come “crimine di guerra”.