Venezia, 21 mar. (askanews) – Un’opera d’arte totale, che si fa carico di parlare della storia del nostro Paese con una sintassi poetica e che segna un momento importante, dal quale difficilmente si potrà prescindere da qui in avanti. Il progetto di Gian Maria Tosatti con la curatela di Eugenio Viola per il Padiglione Italia alla Biennale d’Arte di Venezia intitolato “Storia della notte e destino delle comete” è qualcosa di poderoso, la manifestazione di un modo di pensare l’arte che rinnova il contemporaneo.
“Abbiamo cercato scientificamente di produrre uno specchio – ha detto Tosatti ad askanews – e fare in modo che quest’opera potesse fare uscire da noi un’immagine che ci appartiene per potercela fare guardare in maniera molto diretta e vedere che cosa è stata la nostra storia di questi anni, di questi mesi, di questa ultime settimane. A che punto siamo della notte e siamo a un punto molto fondo della notte: c’è una catastrofe economica, una catastrofe ambientale, c’è una guerra. Direi che più notte di così è difficile”.
Il padiglione, completamente rivoluzionato a livello spaziale, fotografa la vita al tempo della precarietà e della scomparsa del lavoro, ma gestisce anche la forza dirompente di una pratica che ha, per sua stessa natura, una vocazione universale. “E’ una visione, fin dal principio, da quando abbiamo iniziato a ragionare su questo progetto – ci ha spiegato il curatore Eugenio Viola -. Perché riguarda ognuno di noi, parte dalla relazione tra l’uomo e l’ambiente circostante. Ci sono echi, per esempio, della Dismissione di Ermanno Rea, parte della storia della dismissione dell’Ilva di Bagnoli, quindi una storia di Napoli, però ci si specchia un po’ tutta l’Italia”.
Una storia che passa dai simboli della fine del tempo dell’industria, e forse anche del lavoro, ma che è anche un racconto di ognuno di noi, perché tocca aspetti di archetipo, a prescindere dagli oggetti stessi che compongono l’installazione. Perché molto della pratica di Tosatti ruota, da sempre, intorno all’idea del vuoto. “Avevamo uno spazio completamente bianco – ha aggiunto l’artista – e così abbiamo traslato in questo spazio il pieno di altri luoghi che abbiamo visitato in questi mesi, questo giro nell’Italia industriale di provincia, dove abbiamo comprato dei pezzi di fabbriche fallite, le abbiamo portate qui dentro, le abbiamo montate all’interno di una struttura poetica, che fosse, più che reale, vera”.
Per la prima volta nella storia delle Biennale di Venezia, inoltre, il padiglione italiano ospita un solo artista, cosa che invece è frequente nelle altre partecipazioni nazionali. “Il ministero della Cultura in questo caso – ha detto Onofrio Cutaia, direttore della Creatività contemporanea del MiC – vuole percorrere non una strada di retroguardia, ma cerca di dare la possibilità a chi ha una ricerca in atto, come quella di Eugenio e di Gian Maria, di esprimersi nel migliore dei modi”.
La notte è fonda, lo dice lo stesso artista. Ma è anche una notte capace di suscitare meraviglia, quando, inaspettatamente e in un momento assolutamente incredibile, ci si trova, nel bel mezzo del padiglione, di fronte a un mare in tempesta. Reale, come solo la grande arte può esserlo. E su quel mare minaccioso, simbolo anche della lotta tra la natura e gli uomini, ecco però che arriva una speranza, rappresentata dalle lucciole che brillano all’orizzonte. Così fragili ed effimere, così pasoliniane e bellissime, alla fine lasciano aperta una porta verso altre opportunità.
“E’ il grande potere metaforico dell’arte – ha concluso Viola – quello di rendere possibile ciò che apparentemente è impossibile”. E in questa splendida impossibilità e in questo specchio che guarda verso il vuoto a rifletterci siamo esattamente noi.
(Leonardo Merlini)