Roma, 9 feb. (askanews) – Dal punto più estremo della Terra arrivano segnali allarmanti sul cambiamento climatico. L’Artico si sta scaldando a un ritmo preoccupante e la sua lontananza non deve rassicurarci, perché quello che accade lì anticipa quello che accadrà nel resto del pianeta. Ecco perché è importante condurre ricerche lì e l’Italia lo fa con il Programma di Ricerche in Artico (PRA), avviato nel 2018, finanziato con un milione di euro l’anno, che coinvolge ministeri, enti di ricerca e università e a cui il Cnr dedica l’evento “Il Programma di Ricerche in Artico – Le sfide della ricerca”, in corso a Roma, per fare il punto sui primi anni di attività. Presenti la presidente del Cnr Maria Chiara Carrozza, i presidenti dell’Enea Gilberto Dialuce, dell’Ingv Carlo Doglioni, dell’Ogs Nicola Casagli, il Ministro Plenipotenziario, Inviato speciale per l’Artico Carmine Robustelli insieme a ricercatori e rappresentanti di altri istituti coinvolti. “Abbiamo sviluppato una grande competenza e quindi possiamo dare un ruolo sempre più importante al nostro Paese”, ha detto Maria Chiara Carrozza. “Come presidente del Cnr – ha aggiunto – cercherò con i ministeri, soprattutto della Ricerca e degli Esteri, di caldeggiare una crescita di questo programma, un maggiore investimento e anche una prospettiva a lungo termine di cui c’è bisogno per dare stabilità alle ricerche e alle campagne che effettuiamo”. Durante i lavori è emerso che i più recenti rilevamenti confermano che l’aumento della temperatura in Artico è quasi tre volte rispetto alla media mondiale, con alcune regioni che presentano un aumento fino a 2.7°C ogni dieci anni, corrispondente addirittura a 5-7 volte il tasso di crescita globale della temperatura. Il ghiaccio marino artico si sta riducendo sia in estensione che in spessore a una velocità che non ha precedenti. A questo si aggiunge la fusione del permafrost terrestre e subacqueo con la conseguente accelerazione dell’immissione di gas climalteranti in atmosfera. La riduzione del ghiaccio marino sta anche favorendo un incremento del traffico navale nella regione, con conseguente aumento dei rifiuti in mare e soprattutto con un aumento delle emissioni di fuliggine, che “sporca” il ghiaccio riducendone la capacità di riflettere l’energia infrarossa. Studi recenti confermano come anche gli incendi nella zona boreale – soprattutto nelle regioni siberiane come la Yakutia – stiano pericolosamente aumentando a causa della crisi climatica in atto. Si osservano anche importanti variazioni nella struttura e nella circolazione dell’oceano e dell’atmosfera, e impatti importanti sull’ecosistema. Fenomeni che accadono nell’Artico ma che influenzano tutto il pianeta. L’estendersi in Europa, e fino al Mediterraneo, delle conseguenze dei fenomeni di riduzione dell’ozono che hanno caratterizzato l’Artico nel 2011 e il 2020, è stato messo in evidenza da recenti studi anche di ricercatori italiani e rappresentano un esempio immediato di interazione e interconnessione tra le regioni artiche e le nostre latitudini. L’Artico si conferma quindi una regione chiave per lo studio dei cambiamenti climatici, i cui effetti sono sempre più evidenti a tutte le latitudini. Per queste ragioni il PRA si è focalizzato sul fenomeno della cosiddetta “amplificazione artica”, sugli ecosistemi artici, sull’atmosfera e sulla colonna d’acqua dei mari artici, sulle ricostruzioni paleoclimatiche e sugli effetti della crisi climatica sulle popolazioni che vivono in Artico. Il PRA mette anche in evidenza l’importanza per la ricerca in Artico della Stazione “Dirigibile Italia” gestita dal Cnr alle Isole Svalbard sin dal 1997, come pure le iniziative italiane presso altre strutture artiche, a partire da quelle di Enea, Ingv e Università di Roma Sapienza presso l’High Arctic Atmospheric Observatory (THAAO) di Thule in Groenlandia e dell’Ingv presso le stazioni di monitoraggio della ionosfera a Ny Alesund e Longyearbyen. Sul piano infrastrutturale, la novità per l’Italia nell’ultimo periodo è l’acquisizione di una nuova nave da ricerca polare da parte dell’OGS, la nave oceanografica Laura Bassi, che ha già effettuato una prima campagna in Artico, con tre progetti di ricerca co-finanziati su fondi PRA, e che auspicabilmente potrà tornare in Artico, in coordinamento con le attività previste in Antartide. A questa disponibilità si aggiunge, a partire dal 2023, quella della nave oceanografica del Cnr, Gaia Blu, in grado di svolgere ricerche in oceano e in aree polari artiche durante la stagione estiva. Senza dimenticare gli osservatori marini profondi al largo delle Svalbard (mooring oceanografici), mantenuti dal 2014 con sforzo congiunto di Ogs e Cnr, con il supporto dell’Istituto Idrografico (IIM) e del Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE). Nel quadro del PRA sono state fatte finora due call per progetti di ricerca e una per il potenziamento di infrastrutture di ricerca, ed è in uscita una terza call per progetti di ricerca con un budget di circa 1,4 milioni di euro.
Cnr, ricerca in Artico strategica per studio clima. L’Italia c’è
Primo bilancio del Programma di Ricerche in Artico (PRA)