Roma, 14 apr. (askanews) – “I fondi Next Generation EU destinati alla ricerca italiana per i prossimi anni sono di almeno dieci volte maggiori degli investimenti abituali: rappresentano quindi un’occasione unica per metterci al pari degli altri maggiori paesi industrializzati e per restare competitivi rispetto ai paesi orientali”. Non solo “per dare conforto (per altro assolutamente indifferibile) a un comparto già asfittico e reso ancora più debole dalla crisi corrente, ma per determinarne una sostanziale rigenerazione qualitativa e per imprimere un’accelerazione decisiva alle grandi potenzialità già esistenti nelle Università, negli Enti pubblici e privati di ricerca, nelle imprese del nostro Paese”. Le risorse europee servono più che mai all’Italia che negli anni, nel settore della ricerca, ha perso “progressivamente e inesorabilmente terreno e competitività. Troppo scarse sono le risorse per la ricerca e troppo pochi sono i ricercatori”. A sottolinearlo è la Commissione Lincea sui problemi della Ricerca nella nota di commento al Piano nazionale di ripresa e resilienza in fase di elaborazione definitiva in vista dell’invio a Bruxelles entro il 30 aprile prossimo.
Per definire le priorità e le linee di investimento nazionali è stato elaborato, con il contributo e il consenso della comunità scientifica italiana, – prosegue la nota – un corposo Piano Nazionale per la Ricerca (PNR 2021-2027) approvato e reso pubblico lo scorso gennaio. “Le ricette di base del PNR prevedono, tra l’altro, una forte enfasi sulla ricerca di base e sull’interdisciplinarietà e internazionalità della ricerca nei vari ambiti strategici inclusi quelli umanistici, un più efficace rapporto tra ricerca pubblica e imprese (soprattutto PMI), un ampiamento e coordinamento delle infrastrutture nazionali di ricerca, un coordinamento tra Ministeri, Regioni e altre agenzie di finanziamento a livello nazionale ed europeo. Complessivamente un buon Piano Nazionale, anche se con alcune inevitabili riserve”. Critico invece il giudizio sul Pnrr per come lo si conosce oggi che, sottolinea la commissione lincea, “non è mai stato discusso in seno alla comunità scientifica (ma è attualmente discusso con Regioni e sindacati)” ed “è molto probabile che questo mancato confronto sia il motivo di alcune incoerenze del PNRR rispetto allo spirito e ai contenuti del PNR”.
In primo luogo, guardando alla Missione 4 del Pnrr su “Ricerca e istruzione”, prosegue la nota, “rispetto al PNR la ricerca di base appare molto indebolita a tutto vantaggio di un ruolo preminente di una ricerca finalizzata a favore (e spesso a guida) dell’impresa privata. Senza pregiudizi ideologici, si deve però osservare che questo orientamento può penalizzare sensibilmente la libertà e creatività della ricerca che sole possono portare vera innovazione”. “Postulare, come nel PNRR, la necessità di concentrare ingentissime risorse in pochi (dieci) grandi progetti pubblico-privati definiti a priori, rischia il ripetersi (su scala amplificata) di passati e spesso infelici esperimenti in questa direzione”.
“In secondo luogo, in queste versioni provvisorie del PNRR traspare una visione verticistica della ricerca, dove vengono creati gli ennesimi ‘poli’ o ‘centri di eccellenza’ sui quali concentrare investimenti e risorse. Nel PNRR sembra essere prevista la creazione di un certo numero (sette) di questi Centri nazionali di eccellenza, in altrettanti specifici settori della ricerca, in qualche caso addirittura identificando preventivamente le sedi; senza che il concetto e la definizione della natura e oggetto di questi centri di eccellenza siano stati condivisi né discussi con la comunità scientifica; senza alcuna apparente formazione di equivalenti reti nazionali del settore; senza apparente riutilizzo delle notevoli strutture di ricerca già disponibili sulle quali già sono indirizzati importanti finanziamenti pubblici – si pensi a enti come CREA, ENEA, CNR, INFN, INGV, ASI, INAF, ESO, IIT, Human Technopole – con il rischio di creare duplicati o, addirittura, di generare una dannosa competizione interna tra le nuove strutture nazionali e quelle già esistenti. Gli enti pubblici di ricerca non sono stati coinvolti in alcun modo nell’identificazione delle aree di maggiore interesse per la ripresa del sistema ricerca e, per quanto è dato sapere, diversi dei nuovi centri di ricerca ipotizzati nel PNRR prevedono numerose tematiche già attive in questi enti. Inoltre, in Italia esistono aree di ricerca e ricercatori di grande qualità distribuiti in modo diffuso in varie sedi universitarie – anche non considerate ‘eccellenti’ nel loro complesso – ricercatori che hanno crescenti difficoltà a mantenere competitività internazionale a causa della mancanza di fondi, e rischierebbero di perdere del tutto la loro rilevanza se prevalesse un sistema di finanziamento mirato principalmente ai ‘centri di eccellenza’”.
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