Roma, 22 feb. (askanews) – Se la politica nei confronti dei migranti e dei rifugiati è concepita come “difesa delle frontiere”, la conseguenza sono l’esternalizzazione dei confini – come avvenuto con Libia, Turchia o con i Balcani – o i respingimenti. E’ l’analisi di padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, la sezione italiana del Jesuit Refugee Service, che al nuovo Governo di Mario Draghi, come peraltro agli esecutivi precedenti, chiede invece di affrontare la questione migratoria “nella sua complessità”, promuovendo una “solidarietà effettiva tra gli Stati” dell’Unione europea, e, laddove qualcuno potrebbe soffiare sulla “guerra tra poveri”, cogliendo invece l’occasione dell’uscita dalla pandemia per ripensare in modo più inclusivo ai diritti di tutti.
“Quel che noi chiediamo al Governo, che poi è quel che abbiamo chiesto anche precedentemente, è affrontare la questione migratoria nella sua complessità”, spiega il gesuita in questa intervista ad askanews.
Innanzitutto bisogna “prendere sul serio il salvataggio in mare, una ferita aperta e continua: lo abbiamo visto anche nei giorni scorsi con un ennesimo tentativo di salvataggio e la presenza di dispersi in mare, i barconi che continuano a arrivare e li abbiamo un po’ abbandonati a se stessi”.
La questione dei Balcani, come la questione del Mediterraneo, “non si è mai arrestata: l’abbiamo silenziata, ma è una questione che va avanti da anni. Stiamo utilizzando la stessa procedura di esternalizzaizone della frontiera: così come con Libia, con la Turchia, perché le persone non partissero, così l’accordo con la Slovenia e la catena che porta alla Bosnia è il tentativo di esternalizzare le frontiere, di concentrare le persone prima che arrivino nel territorio dell’Unione europea. Si dovrebbe invece pensare all’evacuazione di questi campi che concentrano un numero elevate di persone attraverso meccanismo di solidarietà all’interno dell’Europa. Sono poche migliaia di persone che potrebbero essere distribuite nei vari paesi con estrema facilità”.
Quanto ai respingimenti, “è una questione che si basa su una politica di difesa e non di integrazione in Europa e nei paesi di accoglienza. La difesa delle frontiere come conseguenza ha o l’esternalizzazione dei confini o i respingimenti, diretti o indiretti. Io credo che anche questo sia figlio di una politica non lungimirante che va nella direzione di difesa dai migranti e dei rifugiati anziché la comprensione profonda del tema della mobilità umana”.
Quanto alla Ue, citata dal nuovo pemier nel discorso programmatico al Senato, “Draghi ha fatto riferimento al patto europeo, all’importanza della solidarietà e alla questione dei paesi del sud dell’Europa rispetto a quelli del nord: è importante tornare se questo tema e affrontarlo con la questione dei ricollocamenti e la questione più generale della solidarietà effettiva tra gli Stati dell’Unione. Bisogna andare nello specifico chi fa cosa e come nella gestione dei ricollocamenti”.
Il Centro Astalli sottolinea ancora il nodo degli investimenti nei paesi di provenienza: “Gli investimenti che l’Europa vuole assicurare negli anni devono essere investimenti finalizzati alla crescita di questi paesi e non al blocco della partenze o comunque a rendere più difficoltosa la partenza di queste persone, altrimenti non siamo intervenuti sulle cause della partenza di queste persone”, spiega Ripamonti.
“Quel che chiederemmo è affrontare la questione della mobilità umana nella sua complessità, evitando ogni tipo di semplificazione”, insiste il gesuita.
L’Italia, da parte sua, dovrebbe procedere in un atteggiamento di “uscita dall’emergenza migrazione”: “Fino a qualche anno fa c’era stato un tentativo di strutturare l’accoglienza e l’integrazione con gli Sprar”, spiega padre Ripamonti, “poi c’è stata la parentesi dei decreti sicurezza di Salvini che hanno segnato una battuta d’arresto sulla politica di accolgienza e integrazione. La pandemia ha creato uno squilibrio generale, ma crediamo che si debba investire su un futuro che va in direzione della convivenza tra diversi. Si deve prensare all’accoglienza con l’integrazione: se volgiamo una comunità in cui non ci sia la guerra tra poveri bisogna investire in modo che si possa convivere nella diversità”.
“Crediamo che l’orizzonte sia riconoscere diritti per tutti, una cittadinanza inclusiva e non una cittadinanza che escluda”, afferma il gesuita.
Una revisione della convenzione di Ginevra sui rifugiati non sembra al momento un obiettivo raggiungibile: “Essendoci divisioni sia in seno a comunità internzionale che in Europea il rischio è ridurre il diritto anziché aumentarlo”, siega padre Ripamonti: “Aspetterei tempi più opportuni”.
Altro è affrontare il tema dei diritti per gli gli stranieri che sono in Italia. La pandemia, come è raccontato nel recente libro “La trappola del virus” che proprio il Centro Astalli ha pubblicato, ha fatto sparire il tema dei migranti dai radar della politica e dell’informazione, sia in positivo (sono diminuite le retoriche xenofobe) che in negativo (è diminuita anche la consapevolezza del dramma migratorio). Una situazione che, invece, “dovrebbe essere l’occasione – spiega il gesuita – per affrontare le questioni in modo meno conflittuale e più razionale. I diritti non devono essere un privilegio, riservato agli europei e che esclude gli altri. Riguardano a 360 gradi tutti i cittadini: il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto alla casa, sono temi che riguardano anche i migranti e i rifugiati, ed è possibile recuperare il discorso sui migranti facendo leva su una dimensione pià trasversale dell’attenzione a chi viene emarginato nella nostra società. Rimettere mano allo Stato sociale che negli ultimi 20, 30 anni è stato soggetto a tagli un po’ netti, in un momento come quello attuale in cui si allarga il numero dei poveri, permette di affrontare la questione con un’apertura mentale e legislativa più ampia. Non cavalcando la guerra tra i poveri – spiega padre Ripamonti – ma, al contrario, in modo più inclusivo”.