Il Papa in Canada, un triplo messaggio per la Chiesa di domani

Francesco dal 24 al 30 luglio tra i popoli autoctoni del nord

LUG 20, 2022 -

Papa Città del Vaticano, 20 lug. (askanews) – Con il viaggio che compie nel profondo nord del Canada, dal 24 al 30 luglio prossimo, papa Francesco non solo restituisce la visita che gli hanno fatto gli autoctoni del paese per denunciare, la scorsa primavera a Roma, il ‘genocidio culturale’ che hanno subito nel corso dei decenni, così completando il ‘mea culpa’ a nome della Chiesa cattolica, ma lancia un messaggio, ben oltre i confini canadesi, su come la Chiesa dovrebbe essere in futuro. Il suo 37esimo viaggio internazionale attira un’attenzione particolare perché il pontefice argentino ha mostrato nei mesi scorsi crescenti difficoltà nella deambulazione, tanto da avere rinviato una trasferta, prevista a inizio luglio, in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan. Se già sono all’orizzonte altri viaggi legati, in particolare, alla guerra russa in Ucraina – l’ipotesi di Kiev, il progetto del Kazakhstan – è però nei fatti che Francesco, 86 anni, non si muoverà più come prima. Una realtà che rende ancor più significativa la determinazione con la quale Jorge Mario Bergoglio ha voluto, non senza suscitare qualche apprensione nell’entourage, confermare questa impegnativa visita al circolo polare artico. Un viaggio irrinunciabile, insomma: perché il papa, raccontano, è rimasto particolarmente colpito dalle delegazioni di Prime nazioni, Inuit e Metis che ha voluto ricevere, dapprima singolarmente poi tutte assieme, tra fine marzo e inizio aprile, dai racconti degli anziani, dalle storie di abusi fisici e sessuali avvenuti nelle ‘scuole residenziali’ che lo Stato canadese ha fatto gestire alle Chiese, tra di essere la Chiesa cattolica, dai danni compiuti in questa parte di mondo dal colonialismo culturale europeo. Vero, ma in Canada Bergoglio sembra anche intravedere l’occasione per sviluppare, e radicare, almeno tre concetti che gli stanno a cuore e che ritiene cruciali per il cattolicesimo degli anni a venire. La richieste di perdono per gli abusi compiuti dai ‘conquistadores’, beninteso, non è un’invenzione di Jorge Mario Bergoglio. Sulla Civiltà cattolica padre Federico Lombardi opportunamente ricorda che già papa Paolo III nel 1537 avvertì nella bolla ‘Sublimis Deus’ che gli ‘indiani’ che venivano ‘scoperti dai cristiani’ non dovevano ‘in alcun modo essere privati della loro libertà e del possesso dei loro beni, anche se non hanno la fede di Gesù Cristo’. Per venire a tempi più recenti, e limitarsi al Canada, Giovanni Paolo II è stato nel paese tre volte, ed ha chiesto scusa alle popolazioni indigene. Benedetto XVI fece altrettanto quando li ricevette in Vaticano. Le critiche alla Chiesa sono però andate avanti. La verità storica ha fatto il suo corso: una commissione ‘verità e riconciliazione’ creata dallo Stato canadese nel 2015 ha raccomandato che il papa in persona si recasse in Canada per chiedere scusa. Sono emersi altri dettagli, non di rado raccapriccianti, come la scoperta dei resti dei cadaveri di 215 bambini nella Kamloops Indian Residential School, in British Columbia: lo Stato canadese sottopagava questi collegi, e quando i bambini, che vivevano in condizioni sanitarie precarie, morivano, per risparmiare venivano seppelliti nelle vicinanze, anziché essere restituiti alle loro famiglie. Vicende che hanno colpito l’opinione pubblica mondiale e spinto la Chiesa canadese a essere più netta nella condanna di quanto era stata. Con il primo pontefice latino-americano della storia, poi, l’intensità del dibattito non poteva che aumentare. Erede dei missionari gesuiti, Bergoglio ha sempre fatto estrema attenzione al nodo storico del colonialismo, e alla commistione adulterata tra evangelizzazione e spoliazione delle culture originarie. ‘Chiedo umilmente perdono, non solo per le offese della Chiesa stessa, ma per i crimini contro le popolazioni indigene durante la cosiddetta conquista dell’America’, disse nel corso del suo viaggio in Bolivia nel 2015. ‘E insieme a questa richiesta di perdono, per essere giusti, chiedo anche che ricordiamo migliaia di sacerdoti e vescovi, che opposero fortemente alla logica della spada con la forza della Croce. Ci fu peccato, ci fu peccato e abbondante, ma non abbiamo chiesto perdono, e per questo chiediamo perdono, e chiedo perdono, però là, dove ci fu il peccato, dove ci fu abbondante peccato, sovrabbondò la grazia mediante questi uomini che difesero la giustizia dei popoli originari’. Nel 2019 ha voluto addirittura che si svolgesse a Roma un’assemblea sinodale sull’Amazzonia, che egli stesso ha anticipatamente aperto a Puerto Maldonado, che ha sviscerato il tema dell’interazione problematica tra evangelizzazione e colonizzazione. Un impegno di lungo periodo che però – e questo è il primo punto che si intravede in filigrana nel viaggio canadese – rischia di essere confinato all’America latina. Come se il pontefice argentino si preoccupasse di questo tema perché viene dall’unico luogo del mondo dove c’è stato questo problema. E invece la saldatura tra la colonizzazione e una malintesa lettura del Vangelo, la ‘dottrina della scoperta’ benedetta da Santa Romana Chiesa, è avvenuta in molti altri luoghi, e può avvenire, appena dissimulata, anche nel mondo di oggi, da parte di missionari cattolici e di altre denominazoni cristiane. Il viaggio in Canada offrirà al papa l’occasione per allargare la questione ben oltre l’America latina, e ben oltre il mondo ispanofono. Seppure pronuncerà i discorsi in spagnolo – e c’è da giurare che nella vicina America centrale e meridionale arriveranno forti e chiari – il messaggio sarà però tradotto in inglese e in francese, e potrà dunque arrivare anche nei vicini Stati Uniti, nella lontana Australia, in molti paesi dell’Africa noncé della vecchia Europa. Un messaggio – ed è il secondo punto – che lega insieme inestricabilmente cura delle diversità culturali e cura della ‘casa comune’. Il pontefice della Laudato si’ e della Fratelli tutti lo ha detto e ribadito, ma ora lo ripeterà a chiare lettere da un paese del G7 da sempre sensibile alla questione ambientale. Come ha spiegato all’agenzia stampa francese I.Media il gesuita canadese Gilles Mongeau, ‘riconosciamo che i popoli indigeni sono stati i primi guardiani di questa terra. Noi ne abbiamo beneficiato ma essa non è mai stata data formalmente ai coloni. Essi l’hanno occupata. Una delle differenze più significative tra la cultura europea e la cultura autoctona è la relazione con la terra. Gli europei possiedono la terra, la comprano e la vendono. Hanno dei diritti su di essa. I popoloi autoctoni si pensano come gli amministratori della terra. La considerano più come un regalo e la condividono’. Una concezione che la Chiesa sa far propria e valorizzare, senza lasciare ad altri il tema dell’ambiente, e ponendosi come promotrice di un impegno per la soluzione di un problema sempre esistenziale per l’umanità di oggi e di domani. Dal Canada Francesco avrà dunque l’occasione di mostrare ancora una volta, ma da un’angolatura nuova, un volto della Chiesa cattolica lontana da una concezione ripiegata su se stessa, attenta solo alla liturgia e al diritto canonico, preoccupata, insieme alle donne e agli uomini di buona volontà, per il bene comune. E’ un modo per sottolineare il senso più autentico dell’evangelizzazione. Perché come disse in Bolivia, Francesco è convinto che già nel 1500, e ancora oggi, ci siano, anche dentro la Chiesa, idee divergenti, e anzi confliggenti, su cosa significa portare al mondo la ‘buona novella’: alcuni che pretendono di imporla con la ‘logica della spada’, altri che seguono ‘la forza della Croce’. Per chiarirlo ancora meglio, per distinguere e scegliere, è necessario passare dalla verità storica. Una verità che non è indolore. Come ha notato padre Lombardi, a conclusine dell’articolo dove ripercorre le drammatiche vicende della storia, ‘abbiamo incontrato una grande sofferenza, in primis quella delle popolazioni indigene e di tanti studenti delle scuole residenziali, vittime di immense ingiustizie e gravi abusi, ma anche – sullo sfondo – di tante persone che hanno speso molte delle loro forze con l’intenzione sincera di servire il Vangelo e le popolazioni indigene. Ora si sentono frustrati da critiche molto dure, che includono generalizzazioni, che non sono giuste. Pensiamo – scrive il gesuita – che questo sia un prezzo penitenziale, tutt’altro che inutile, da pagare in un cammino di purificazione da parte della Chiesa. Ci auguriamo che porti i suoi frutti in un incontro più profondo, fruttuoso e rinnovato – veramente riconciliato – con le popolazioni indigene e l’intera società canadese’. Parole che spiegano perché papa Francesco ha presentato il suo prossimo viaggio in Canada come un ‘pellegrinaggio penitenziale’, dedicato agli indigeni canadesi ma capace di parlare ben oltre i confini di quel paese.