Ucraina, la tela diplomatica del Papa per il cessate-il-fuoco

Visita ambasciatore russo, filo con Kirill, amicizia con Shevchuk

FEB 25, 2022 -

Ucraina Città del Vaticano, 25 feb. (askanews) – Anche “nell’ora più buia” (titolo dell’Osservatore Romano) “c’è ancora spazio per il negoziato” (copyright del cardinale Segretario di Stato) e così papa Francesco si è recato dall’ambasciatore russo presso la Santa Sede Alexander Avdeev per rappresentargli di persona tutta la sua “preoccupazione”, come riferisce la sala stmpa della Santa Sede, per la guerra in Ucraina, e abbozzare – se ne deduce – una mediazione capace di rilanciare il negoziato e far tacere le armi. Uno sforzo che può prendere corpo a partire dalla tela diplomatica discretamente portata avanti in questi giorni, senza tanto clamore, dal romano pontefice e dai suoi più stretti collaboratori. Papa Francesco doveva recarsi a Firenze, domenica, per chiudere l’incontro di vescovi e sindaci sul Mediterraneo, novello “lago di Tiberiade”, come lo chiamava il sindaco santo Giorgio La Pira: ha annullato per l’acuirsi di un dolore al ginocchio che si trascina da almeno dieci giorni. Una gonalgia che non gli ha impedito, però, di recarsi di persona dall’ambasciatore Avdeev, al numero 10 di via della Conciliazione, a bordo di una Fiat 500 bianca con vetri oscurati. Gesto talmente nascosto da passare inosservato negli ospiti del bar accanto tranquillamente seduti al sole mentre consumano un cappuccino. Che, fin dalla straordinarietà procollare, fa trasparire l’urgenza della situazione. Il “lago di Tiberiade”, in questi giorni, è il Mar Nero. La diplomazia papale ha questo stile. Parole esplicite quando serve, azioni sotto la superficie della visibilità mediatica in altri momenti. Nelle scorse settimane Jorge Mario Bergoglio non si è scagliato apertamente contro la Russia, ma ha caldeggiato “la libertà di ogni paese” (udienza del 16 febbraio), ha esclamato “com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra!” (Angelus domenicale), ha spiegato di avere “un grande dolore nel cuore per il peggioramento della situazione nell’Ucraina”, denunciando “la follia della guerra” (udienza di mercoledì scorso) ed ha lanciato, per il mercoledì delle ceneri, il due marzo, inizio della Quaresima e tempo liturgico penitenziale per eccellenza, una giornata di preghiera e digiuno per la pace rivolto a tutti i credenti, ma anche ai non credenti. Perché, ha spiegato il Pontefice, “Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno”. Poi c’è stata, in forma ben più discreta, un solerte lavorio diplomatico. Impegno non agile per un pontefice che vuole essere solidale con i greco-cattolici ucraini, solidarietà cementata dall’amicizia peronale che lo lega personalmente, già dai tempi di Buenos Aires, a Sua Beatitudine l’arcivescovo di Kiev Sviatoslav Shevchuk. Ma non vuole rompere con il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, che – prima volta nella storia del papato – ha incontrato a Cuba nel 2016, avviando un rapporto segnato da secoli di reciproca diffidenza tra la prima e la terza Roma. Un doppio legame che può risultare essere una doppia chance quando si materializza la possibilità di una mediazione. E’ stato lo stesso cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, a far trasparire la possibilità che la diplomazia prevalga sulle armi, con un video-messaggio pubblicato ieri: “C’è ancora tempo per la buona volontà, c’è ancora spazio per il negoziato, c’è ancora posto per l’esercizio di una saggezza che impedisca il prevalere degli interessi di parte, tuteli le legittime aspirazioni di ognuno e risparmi il mondo dalla follia e dagli orrori della guerra”. Era il segno, neppure tanto dissimulato, che nel Palazzo apostolico i canali erano aperti in ogni direzione, per ascoltare, fare incontrare, eventualmente suggerire vie d’uscita. A Roma non sottovalutano la complessità dello scacchiere orientale, e in particolare l’Ucraina, la mitologica culla della Rus’ dove il principe Vladimiro prescrisse il battesimo ai fedeli. La geografia ecclesiale è volendo ancor più intricata di quella politica, le divergenze, le reciproche diffidenze, gli scismi delle diverse famiglie del cristianesimo non collimano perfettamente ma accompagnano, a volte anticipano, altre volte cementano le divergenze politiche. Ci sono i cristiani latini fedeli a Roma, spregiativamente soprannominati “uniati” perché sospettati di voler tradire la spiritualità orientale e unirsi al papato, fonte dei decennali tensioni tra la Santa Sede e il patriarcato moscovita. C’è il patriarcato ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, che in queste ore denuncia con veemenza l’aggressione militare russa e che nel 2019 ha riconosciuto la “autocefalia”, ossia l’autonomia, di una Chiesa ortodossa separata da Mosca, decisione dirompente accolta con gelo da Mosca e con l’altrettanto dirompente decisione di Kirill di disertare il concilio panortodosso di Creta nel 2016. E c’è lo stesso Kirill. Il patriarca russo è legato a Vladimir Putin in uno stretto rapporto di reciproca utilità. Con una mano ha banedetto i militari russi in partenza per l’Ucraina. Ma con l’altra – segnale che non è passato inosservato nel Palazzo apostolico – ha porto un ramoscello d’ulivo, sia pur circoscritto. Consapevole che i suoi fedeli ucraini sono spaventati dalla guerra come ogni concittadino (lo ha registrato un sondaggio del centro “Razumkov” prontamente rilanciato da Asianews) ha chiesto, in un messaggio ai sacerdoti e ai fedeli, che vengano risparmiati i civili ed ha elevato “una preghiera speciale e ardente per il rapido ripristino della pace”. Una sponda densa di significato per papa Francesco. Non è dato sapere, ovviamente, cosa il papa è andato a dire all’ambasciatore russo Alexander Avdeev, se ad esempio la riunione è stata l’occasione per entrare in contatto in diretta con Mosca. Così come non è dato sapere chi in queste stesse ore papa Francesco, il cardinale Parolin, l’arcivescovo britannico Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri della Santa Sede, stanno contattando. Da quel poco che filtra, tuttavia, è chiaro che Bergoglio è i suoi uomini stanno spingendo l’acceleratore su un cessate-il-fuoco negoziato. Il papa è naturalmente “preoccupato per la guera”, e – lo ha scritto l’agenzia stampa argentina Telam che per prima ha anticipato la notizia della visita all’ambasciata russa, ha voluto “tentare di mediare nel conflitto tra il paese e l’Ucraina dopo l’attacco su larga scala di Mosca”. L’agenzia stampa russa Ria Novosti sottolinea in particolare che Bergoglio ha espresso grande preoccupazione per “la situazione umanitaria”: è a partire dalla leva della preoccupazione umanitria – la stessa sollevata dal patriarca Kirill, la stessa sottolineata ieri da Caritas internationalis – che la Santa Sede sembra orientata a caldeggiare una tregua. Sentiero politico impervio, che si accompagna dall’impegno disarmato della preghiera e del digiuno il prossimo mercoledì delle ceneri. Nella speranza che, come ha chiesto Bergoglio, “quanti hanno responsabilità politiche” facciano “un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra; che è Padre di tutti, non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici”. (di Iacopo Scaramuzzi)