Libia, a Palermo rischio fallimento: Italia scommette su Salamé

Obiettivo è massima convergenza su piano Onu con impegno scritto

NOV 9, 2018 -

Roma, 9 nov. (askanews) – Creare un consenso quanto più ampio possibile sul piano di azione Onu per la Libia, evitando chiari sbilanciamenti verso Tripoli e mantenendo aperti i canali di dialogo con Bengasi e le altre fazioni del Paese. E magari, facendo uno sforzo in più, blindare questa generale adesione con una dichiarazione finale – messa nera su bianco -, per andare oltre gli accordi verbali, a questo punto mancati, dello scorso mese di maggio a Parigi. A tre giorni dal suo inizio, sembra questo il principale obiettivo della Conferenza di Palermo. Forse l’unico realisticamente raggiungibile in questo momento in cui il fallimento dell’iniziativa resta un’ipotesi non del tutto esclusa.

Con la Conferenza di lunedì e martedì, l’Italia si gioca buona parte della sua credibilità internazionale. E il governo di Giuseppe Conte sa di non poter sbagliare. E’ stato a un passo dal baratro, tra rinunce della prima e dell’ultima ora, un’agenda incerta e un programma dei lavori poco chiaro che gli sherpa continuano a limare alla ricerca di una difficile convergenza. Tenendo ben presente quella che da ieri è la pietra miliare di tutto il vertice: il piano, “opportunamente rinnovato”, presentato in Consiglio di Sicurezza dell’Onu dall’inviato Ghassan Salamé.

Illustrando i punti fondamentali della sua nuova road map per la stabilizzazione politica, economica e di sicurezza, il diplomatico libanese ha chiesto che da Palermo giunga il pieno sostegno della Comunità internazionale, un passo considerato “cruciale” in vista della “vera sfida”, la ricostruzione di “uno Stato unitario, legittimo e sostenibile”. In Sicilia, dunque, bisognerà andare oltre la “competizione” e la “rivalità” tra potenze, che hanno “ripercussioni dannose sulla Libia”, e puntare invece sul consenso e sull’inclusività. Una necessità evidenziata, alla vigilia, anche dal premier del Governo di Accordo nazionale, Fayez al Sarraj, che ha chiesto l’adozione di “una visione comune” che consenta di invertire una rotta marcata, fino ad oggi, dal “mancato rispetto delle decisioni” prese negli ultimi anni.

Non sarà facile, però, raggiungere l’obiettivo. E non è affatto scontato che alla fine ci si riesca davvero. Troppo evidente il regime di isolamento in cui l’Europa ha deciso che l’Italia dovrà giocarsi le proprie carte; troppo eterogenei gli interessi di altri attori internazionali coinvolti; e decisamente divergenti appaiono anche alcune delle istanze delle quattro delegazioni libiche invitate a Palermo. Senza contare che alla Conferenza non parteciperanno numerosi altri rappresentanti di tribù, fazioni, milizie e della società civile del Paese nordafricano.

Donald Trump, che in un incontro a Washington con Giuseppe Conte aveva assicurato pieno sostegno alla leadership italiana sul dossier libico, non ci sarà. E non invierà neppure il segretario di Stato Mike Pompeo. Gli Stati uniti saranno rappresentanti dall’inviato per il Medio Oriente, David Hale. Assente anche Vladimir Putin: la presenza del premier russo Dmitry Medvedev è stata annunciata, ma mai confermata ufficialmente, mentre ci sarà il vice ministro e rappresentante presidenziale per il Medio Oriente Mikhail Bogdanov. E se il presidente francese Emmanuel Macron non ha mai preso in considerazione l’idea di una sua partecipazione, ieri ha dato forfait l’unica leader di peso che aveva annunciato la sua presenza, la cancelliera tedesca Angela Merkel. Ci saranno, invece, il presidente tunisino Beji Caid Essebsi, i capi di Stato di Ciad e Niger, Idriss Deby Itno e Mahamadou Issoufou, il primo ministro algerino Ahmed Ouyahia. La Turchia parteciperà con un inviato, per l’Egitto – pesantemente coinvolto nel progetto di riunificazione delle forze armate libiche – potrebbe esserci il presidente Abdel Fattah al Sisi. La sua partecipazione, se confermata, sarebbe comunque di grande importanza, in considerazione dell’influenza che il capo dello Stato egiziano è capace di esercitare sull’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar.

Il generale libico, soprattutto nelle ultime settimane, ha lanciato messaggi contrastanti. La sua partecipazione è stata più volte annunciata e poi smentita da uomini a lui vicini con messaggi di propaganda diffusi online. Alla fine, l’uomo forte di Bengasi dovrebbe arrivare davvero, convinto dalle pressioni ricevute da Russia e Stati uniti, e persuaso dal fatto che dalla sua assenza in questo momento non avrebbe nulla da guadagnare. Il premier Sarraj guiderà la delegazione del Consiglio presidenziale, Aguila Saleh quella del parlamento di Tobruk. Khaled al Meshri sarà a capo del team dell’Alto Consiglio di Stato. La città Stato di Misurata sarà rappresentata da Ahmed Maitig, che non ha ricevuto un invito personale ma seguirà i lavori come vice primo ministro del governo di Tripoli.

Una presenza eterogenea che presuppone, esigenze, istanze e richieste diverse, a volte opposte se non inconciliabili, sul piano economico, della sicurezza e politico. E che richiede risposte convincenti. Tanto più che, secondo alcune fonti contattate da askanews, la partecipazione delle delegazioni libiche sarebbe legata più alla possibilità di partecipare alla spartizione dei fondi promessi dall’Onu che a un reale riconoscimento della leadership italiana. Così lo sforzo diplomatico italiano sarà orientato a mantenere saldo il principio dell’assunzione di responsabilità da parte di tutti i protagonisti e soprattutto a impedire il rischio, molto forte, che ci si muova esclusivamente verso un sostegno sbilanciato in favore di Tripoli e del suo primo ministro, seppure nel quadro del piano d’azione di Salamé. Il tentativo di superare lo stallo in questo modo non sarebbe accettato da Haftar, che farebbe saltare il banco, decidendo di puntare nuovamente le sue fiches su Parigi e le sue iniziative unilaterali. Un risultato che trasformerebbe la Conferenza di Palermo in una passerella per i fotografi: per l’Italia sarebbe la certificazione di un fallimento.