Pasta italiana nutre il mondo: export primi 7 mesi 2021 +13% su 2019

Il 2021 in contrazione su record 2020 ma in linea con il 2019

OTT 22, 2021 -

Agroalimentare Milano, 22 ott. (askanews) – Il lento ritorno alla normalità, dopo l’anno difficile della pandemia, non scalfisce il gradimento dei consumatori verso la pasta, sebbene i picchi di produzione e consumi raggiunti nel 2020 sia lontani. Per quest’anno i consumi sono in contrazione rispetto ai 12 mesi precedenti ma dovrebbero assestarsi su valori in linea o superiori rispetto al 2019 mentre l’export si mantiene oltre i livelli pre-pandemia. “E’ un anno in leggera contrazione su un irripetibile, speriamo, 2020 – dice Riccardo Felicetti, presidente dei Pastai italiani – con prospettive per i prossimi anni in netto miglioramento soprattutto per l’utilizzo della pasta italiana all’estero”. In vista della giornata che celebra questo piatto iconico della Dieta mediterranea e della nostra industria alimentare, il prossimo 25 ottobre, Unione Italiana Food ha scattato una foto dei numeri e delle tendenze del piatto simbolo della cucina italiana. Partiamo dall’anno in corso: il calo che sembra caratterizzarlo non intacca il trend che ha visto raddoppiato in 10 anni (2010-2020) il consumo di spaghetti &co, da quasi 9 a circa 17 milioni di tonnellate annue. E l’Italia, come ricordava Felicetti, resta il punto di riferimento per produzione (3,9 milioni di tonnellate) ed export (2,4 milioni di tonnellate). Ogni italiano ne consuma oltre 23 chili all’anno, staccando in questa classifica Tunisia (17 chili), Venezuela (15 chili) e Grecia (12,2 chili). Il 2020 ha consolidato questa leadership, portando nelle dispense degli italiani 50 milioni di confezioni di pasta in più. A livello globale, non si è mai mangiata così tanta pasta italiana come nel 2020. Nel complesso, è italiano un piatto di pasta su quattro mangiati nel mondo: con 3,9 milioni di tonnellate di pasta prodotte dai nostri pastifici, l’Italia si conferma leader mondiale della pasta, davanti a USA, Turchia, Egitto e Brasile. Forti di un primato riconosciuto nell’arte della pasta, più della metà della produzione italiana (il 62%) finisce all’estero. “I Paesi del Nord Europa e Nord America sono i più performanti – osserva Felicetti – ma abbiamo delle chicche in Oriente dove oltre al Giappone, consumatore abituale di pasta, anche la Corea del Sud sta diventando una nazione dove la pasta italiana viene consumata abitualmente”. Nel 2021, per capire, la Corea del Sud è cresciuta del 18%, ma anche l’Olanda si è rivelata un mercato importante con un +5%. Più in generale, rispetto al gennaio/luglio 2020, l’export di pasta dei primi 7 mesi del nuovo anno segna un calo del 9,4% a valore, ma il confronto con i valori “pre-Covid” dello stesso periodo del 2019 evidenzia un +13%. Guardando ai volumi di pasta esportati verso i 5 mercati più strategici, quelli che assorbono più della metà del nostro export, è positivo il saldo verso Germania (+6%), Francia (+2%), Giappone (+4%) e soprattutto USA (+10%), mentre l’unico valore di segno negativo rispetto al 2019 arriva dal Regno Unito (-4%), conseguenza della Brexit. I pastai italiani difendono questo primato puntando su innovazione e qualità: il settore (che conta quasi 120 imprese, dà lavoro a oltre 10.200 addetti e genera un valore di 5,6 miliardi di euro) investe in media il 10% del proprio fatturato in ricerca e sviluppo per rendere gli impianti sempre più moderni, sicuri e sostenibili e intercettare tendenze, cambiamenti degli stili di vita, nuove frontiere del gusto e della nutrizione.