Roma, 12 lug. – Buon pomeriggio e benvenuti a una nuova puntata di Askanews EU Verified. In questa seconda serie, incontreremo i membri del Parlamento europeo per discutere più in dettaglio le priorità del 2022, le lezioni apprese dalla pandemia e l’attuazione del Piano per combattere il cancro. Sono Lorenzo Peiroleri, redattore di Askanews e il mio ospite oggi è il deputato europeo della Repubblica Ceca del Partito dei Pirati, Mikuláš Peksa. Peksa è stato eletto membro del Parlamento Ue nel 2019 e presta servizio nella commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (ITRE). È anche un biofisico qualificato e un membro supplente del neocostituito Comitato Speciale sulla pandemia di Covid-19. Benvenuto, signor Peksa e grazie per essersi unito a noi oggi. D: Iniziamo la nostra intervista ricapitolando un po’ il Piano per combattere il cancro che lei ha seguito da vicino: è soddisfatto del Piano che è stato approvato in plenaria a febbraio e secondo lei aiuterà efficacemente a sconfiggere il cancro? R: Sono soddisfatto del piano ed è quello che mi aspetto che l’Unione europea faccia. Dobbiamo avere un quadro generale per sostenere le capacità di ricerca nei vari Stati membri al fine di affrontare la questione in modo comune. Ma quello che bisogna dire e quello che bisogna sempre ripetere è che l’Unione europea stessa non può, dall’alto in basso, organizzare tutto. Quindi, è molto importante mantenere, diciamo, l’iniziativa a livello di Stati membri o regioni e così via, per utilizzare davvero tutto il potenziale di un tale piano. D: Ora che il Piano deve essere attuato in tutta Europa, c’è una certa area che ritiene debba avere la priorità? R: Quello che vedo, e questo è forse un problema generale per tutta la ricerca, è che non riusciamo a coinvolgere i nuovi paesi. Voglio dire, la maggior parte delle capacità di ricerca proviene dall’Europa occidentale, mentre paesi come la Repubblica Ceca e la Polonia, sono un po’ come scollegati. So che questo è un problema strutturale in qualche modo connesso alle capacità di ricerca nei diversi paesi e al modo in cui funziona. Ma credo che dovremmo fare di meglio. E ora, durante l’implementazione, dovremmo occuparcene in modo che tutti siano coinvolti e partecipino alle discussioni. D: Quali saranno le sfide chiave per l’attuazione del Piano? R: Si tratta come sempre di fissare degli obiettivi, perché dal punto di vista politico è complicato valutare quale direzione prenderà la ricerca per raggiungere i propri obiettivi. Molto spesso la scienza funziona in questo modo, che si va in una direzione sbagliata e poi ci si rende conto che si dovrebbe andare in un modo diverso. Quindi, dal mio punto di vista, una delle priorità è mantenere, diciamo, la libertà di ricerca. E credo che il Piano, così come è stato approvato, dia sufficiente flessibilità e libertà ai ricercatori. D: Lei è stato molto esplicito sulla necessità di attuare politiche di riduzione del danno e di non vietare prodotti specifici per affrontare le dipendenze. Il Piano per combattere il cancro ha fatto un primo passo nel riconoscere il ruolo delle sigarette elettroniche nell’aiutare i fumatori a smettere. E’ soddisfatto di come il rapporto affronta l’argomento? Crede che si dovrebbe fare di più? R: Stiamo vivendo, diciamo, una transizione generale nella politica sanitaria. Stiamo assistendo all’abbandono di un approccio restrittivo, che stroncava qualsiasi tentativo di costruire un ponte tra i consumatori e coloro che cercano di controllare le sostanze. Ci stiamo muovendo verso il principio di riduzione del danno in modo che ci sia una chiara discussione su come ridurre al minimo i danni causati dall’uso di una particolare sostanza o tecnologia. Penso che abbiamo fatto progressi perché c’è un lento, lento cambiamento di mentalità. Ma io personalmente farei qualcosa in più affinché sia chiaro che stiamo davvero combattendo la dipendenza dando più informazioni e fornendo un supporto migliore a coloro che sono dipendenti piuttosto che semplicemente opprimerli. D: Lei sostiene che gli Stati membri devono adottare politiche integrate per la dipendenza. Come si può raggiungere questo risultato e cosa si aspetta dall’UE? R: Se si guarda alla struttura della Commissione, si vede chiaramente che ci sono diverse direzioni generali che sono come dei ministeri che devono affrontare le questioni legate alle sostanze, ma senza una vera strategia coerente e comune. Voglio dire, sarebbe logico aspettarsi che le persone che si occupano di dipendenza dall’alcol siedano nello stesso dipartimento insieme alle persone che si occupano di dipendenza da sigarette e cerchino di creare politiche coordinate nei vari campi. Ma non è così: ci si muove in modo frammentato e in direzioni diverse. Se si guarda, ad esempio, alla cannabis, che è per molti aspetti meno dannosa rispetto, ad esempio, all’alcol, viene comunque affrontata in modo del tutto diverso dalle dipendenze da alcol. Quindi penso che ciò che dovrebbe accadere sia una sorta di integrazione fra le diverse politiche in modo da avere una visione chiara e comune per ridurre il danno che viene causato ai consumatori piuttosto che opprimerli. E’ un problema di salute quello che stiamo cercando di risolvere non un problema di sicurezza. Non dovremmo mai confondere i problemi di sicurezza con quelli della salute. D: La Repubblica Ceca avrà la Presidenza del Consiglio europeo a partire da luglio. Quali sono le sue aspettative? In che modo la Repubblica Ceca sosterrà le politiche di riduzione del danno nei prossimi sei mesi, sapendo che il suo governo ha recentemente annunciato che adotterà questo approccio per affrontare le dipendenze? R: Il successo che abbiamo ottenuto nella fase preparatoria e lo dico perché, come eurodeputati, abbiamo partecipato attivamente alla preparazione delle priorità per la Presidenza Ue, è stato l’accordo generale all’interno del governo sull’attuazione di politiche di riduzione del danno. Naturalmente, ora la palla è in mano al governo ceco. Il compito che ci aspetta è impegnativo perché bisognerà coordinare la discussione fra i 27 Stati membri dell’Unione e trovare un accordo. Il governo ceco è disponibile a fare da mediatore per arrivare a un accordo sulle posizioni più progressiste, ma molto dipende ovviamente dagli altri 26 paesi che possono influenzare la discussione. Ed è loro diritto farlo. La decisione finale sarà il risultato di un negoziato. Ma stiamo iniziando ora e sono abbastanza ottimista. D: Lei è stato molto attivo sul Digital File Services Act. Fra le questioni da affrontare c’è l’aumento della disinformazione. La pandemia ha dato origine a molte fake news e disinformazione su vaccini, virus e salute in generale. Cosa si può fare per contrastare questo fenomeno? R: Dobbiamo capire il fatto che ci sono molti canali per diffondere la disinformazione. Quindi, quando parliamo di come prevenirla, dobbiamo agire su utenti e follower. Le persone dovrebbero essere in grado di distinguere ciò che è vero e ciò che è falso e di reagire adeguatamente alla continua diffusione di disinformazione in rete, perché altrimenti, se sono disposte a diffondere la disinformazione, di fatto non c’è quasi nulla che possiamo fare su quello. Quindi, dal mio punto di vista, dobbiamo in pratica concentrarci sull’istruzione. Dobbiamo informare le persone su quali sono le conseguenze dei vaccini e dobbiamo fornire informazioni trasparenti. Abbiamo anche bisogno di fare fact checking perché molto spesso le informazioni sbagliate si diffondono solo perché nessuno ha fornito le fonti di tali informazioni. Dobbiamo aiutare le persone a lavorare correttamente con le fonti di informazione così da poterle verificare. D: In qualità di membro supplente del Comitato speciale sul Covid-19, quali sono i piani del Comitato per combattere lo scoppio di nuove pandemie? R: Quello che abbiamo capito è che i sistemi sanitari europei stavano lavorando in modo più o meno indipendente. Quindi, se veniamo attaccati da un virus, non c’è effettivamente molto coordinamento per affrontarlo. Quello che dobbiamo capire è il fatto che esiste il pericolo che un pianeta abitato da 8 miliardi di esseri umani sia facilmente bersaglio di una pandemia. Quella di Covid potrebbe non essere l’ultima. Quindi, ciò che dobbiamo preparare è una risposta davvero coordinata alle pandemie, perché non c’è assolutamente alcuna garanzia che una tale pandemia non possa ripetersi. Dobbiamo coordinare i nostri sistemi sanitari per essere in grado di affrontarla. Questo è, ovviamente, un problema molto delicato perché dobbiamo condividere i dati sanitari mantenendo la privacy. Voglio dire, i dati sanitari sono i dati più sensibili al mondo. Quindi dobbiamo essere assolutamente attenti al modo in cui li gestiamo. All’interno del Comitato stiamo già affrontando molte discussioni sulla privacy e sui diritti fondamentali. D: In alcuni Stati membri c’ è ancora molto scetticismo sui vaccini. Come intende affrontare questo problema il Comitato? R: Anche questo ha molto a che fare con l’informazione. Capisco perfettamente che ci sono ancora molte persone che non si fidano. Penso in generale che il tema vada affrontato a livello europeo, soprattutto cercando di essere trasparenti. Voglio dire, quando si parla di vaccini, la gente ha il diritto di sapere dove li stiamo acquistando, chi li ha forniti a quale prezzo, come è stato gestito l’approvvigionamento e così via. Queste sono cose che devono essere pubblicate e, dal mio punto di vista, il ruolo della Commissione è quello di garantire che i dati che dobbiamo ai nostri cittadini siano pubblicati. D: Lei ha definito l’aumento dei problemi di salute mentale una “seconda pandemia” e ha sostenuto che ci vuole un maggiore coordinamento europeo in questo campo. Cosa si dovrebbe fare per aiutare le persone che soffrono di questi problemi? R: Stiamo affrontando gli stessi problemi di salute mentale in diversi paesi a causa della pandemia, che ha comportato un notevole isolamento, la perdita di molti posti di lavoro e molti altri problemi. Quando affronteremo questo problema, discuteremo anche delle questioni legate all’uso di sostanze stupefacenti. Perché abbiamo registrato anche un aumento piuttosto forte dei consumi. Quindi, ciò che dobbiamo fare è concentrarci davvero sulla riduzione del danno per garantire che le persone che si trovano per vari motivi in situazioni di stress siano integrate e aiutate e abbiano l’opportunità di parlare dei loro problemi. Dobbiamo avvicinarci a loro senza minacciarli o spaventarli. È molto importante creare fiducia tra chi ha una dipendenza e chi sta cercando di aiutare perché, senza la fiducia, non può essere fornito alcun aiuto. E il sistema incoraggerà questo approccio per costruire ponti invece di romperli. D: Un’ultima domanda, è a favore di una specifica commissione sanitaria all’interno del Parlamento europeo? R: Credo sia giunto il momento di avere un comitato sanitario specifico. Nel ventesimo secolo abbiamo pensato che la salute fosse una questione nazionale, ma il ventunesimo secolo ci ha insegnato che non è così. Quindi, dovremo sicuramente coordinare le nostre politiche sanitarie e costruire un sistema sanitario europeo comune. Grazie, onorevole Peksa, per i pensieri e il tempo che ci ha dedicato oggi. Le auguro tutto il meglio per il suo importante lavoro.