Roma, 5 apr. (askanews) – Mentre l’Ambasciata d’Italia in Uruguay sembra essere stata colpita da un improvviso benessere con faraonici progetti sulla nuova sede consolare, la realtà che vivono i connazionali che patiscono le pene di questi servizi è ben diversa. Lo si capisce – scrive “Gente d’Italia” – parlando con i tanti pensionati incontrati in un caloroso martedì pomeriggio fuori dagli uffici della Cancelleria consolare a Montevideo che si affannano a presentarsi per ottenere l’imprescindibile certificato di esistenza in vita. Un documento, questo, indispensabile per continuare a ricevere la pensione e che deve essere presentato entro il 15 giugno presso l’istituto di credito abilitato. Per ottenere questo certificato ci sono due vie: si può contrattare privatamente un notaio (con un alto costo) oppure si può andare all’ufficio assistenza sociale dell’Ambasciata che apre le porte ai pensionati solo due ore a settimana il martedì. Una miseria.
Tra chi arriva c’è chi zoppica e cammina con difficoltà, chi è costretto a fermarsi un attimo prima di entrare perché il sole a Montevideo oggi è troppo forte. Quasi tutti fanno la fila per entrare, prendono il numero e aspettano il loro turno. Chi sta peggio riesce a muoversi solo con l’aiuto di un accompagnatore che il più delle volte è un familiare. Sono scene agghiaccianti che si ripetono in continuazione. “Ho ricevuto la lettera una settimana fa e sono venuto ma credo che questo metodo sia sbagliato” dice Pasquale Sanseverini, di Potenza, accompagnato dalla moglie e dal figlio. “Per noi sarebbe più comodo andare al patronato perché è aperto tutta la settimana. I soldi che arrivano dall’Italia non sono tanti ma di certo aiutano. Abbiamo paura di perderli”.
Melba Nuñez viene da Shangrilá a pochi chilometri da Montevideo e, seppure per breve distanza, ha sperimentato le difficoltà di viaggiare. Tutti dicono la stessa cosa: “La soluzione migliore, specialmente per chi vive nell’interno, è quella di poter fare il certificato al commissariato più vicino come si faceva in passato. È inaccettabile far fare una coda agli anziani e con problemi di salute considerando anche il grande terreno che ha l’Ambasciata. Questa cosa mi ha dato molto fastidio, per il resto si può anche venire”. Dal dipartimento di Canelones vengono anche la vicentina Rita Miotti e il molisano Cristino Piacente. La prima appare preoccupata per le condizioni climatiche a cui vanno incontro le persone in fila prima di entrare: “Io oggi ho fatto una ventina di minuti di coda fuori dall’ufficio e meno male che è una bella giornata. Tra poco però inizierà il freddo e tenere persone anziane e con problemi di salute fuori ad aspettare per me è una vergogna”.
Il secondo racconta invece di non ricevere la pensione da due anni proprio perché prima non era riuscito a presentare il certificato di esistenza in vita: “Ricevo 7 dollari al mese per aver fatto il servizio militare, poca cosa ma che comunque aiuta. La verifica va certamente fatta ma questo non è un metodo giusto. Con la scusa che ci sono pochi fondi per i servizi consolari qui aprono solo due ore a settimana e non va bene. Forse si potrebbe tornare al metodo dei commissariati”. Originaria della provincia di Salerno, Maria Gallo racconta con il terrore negli occhi che per lei ricevere gli 11mila pesos della pensione del marito è di vitale importanza per arrivare a fine mese. “Questo sistema non è giusto. Molti di noi hanno paura di perderla perché magari non possiamo venire il martedì non avendo nessun familiare che ci può accompagnare”.
Condivide il ragionamento anche la figlia Claudia Lettieri secondo la quale il metodo migliore è tornare al commissariato perché “è l’opzione più vicina alla gente”. Domenico Mele, un simpatico ottantaseienne lucano, è il più arrabbiato di tutti. Arriva camminando lentamente e con l’aiuto del bastone. Prima di entrare è costretto a fermarsi un po’ per rifiatare dato che il caldo è diventato insopportabile. “Ormai non me ne frega più niente dell’Italia, un paese di delinquenti, che ci umilia in continuazione e non ha alcun rispetto per noi. Questa sarebbe una nazione civile del primo mondo?” si chiede amaramente durante la pausa mentre litiga con la moglie che ha fretta di entrare ma lui non ce la fa. “Bisogna trovare un metodo più facile e andare dai patronati. Così è inaccettabile” dice infastidito mentre cerca di alzarsi lentamente. “Questi sono i problemi reali che devono affrontare gli italiani. Con quale coraggio ci vengono a parlare delle promesse strumentali sul nuovo Consolato?”.
Per capire qualcosa in più sulla vicenda parliamo anche con Rolando Rossi del patronato Inca di Las Piedras che spiega: “In questi ultimi giorni stiamo ricevendo tantissime visite da parte di pensionati molto preoccupati che non dormono la notte per la paura di perdere uno stipendio che in molti casi può essere fondamentale per poter vivere. Parliamo di gente in avanzata età e con problemi di salute che fanno fatica a muoversi. Ci dovrebbe essere un sistema più umano nei loro confronti, la Cancelleria consolare dovrebbe essere aperta almeno tutta la settimana. C’è poco tempo. È una questione di sensibilità. Noi patronati ci siamo offerti per fare i certificati ma ci hanno risposto negativamente. Come fa un italiano che vive a Salto o a Tacuarembó a venire in un ufficio a Montevideo che è li riceve solo due ore a settimana? Davvero non siamo in grado di studiare un altro sistema che prenda in considerazione per una volta le esigenze dei cittadini?”.