Città del Vaticano, 11 gen. (askanews) – L’Osservatore Romano celebra il cantautore e poeta genovese Fabrizio De Andrè, defindendolo, un autore che “ha saputo scrivere poesie e vestirle di musica”. Senza tralasciare il suo rapporto con la figura del Cristo che definì “il più grande rivoluzionario della storia”. “Ascoltando (o ri-ascoltando) De André – si legge sul giornale vaticano nell’edizione odierna – si rivive un tratto della storia italiana, tra luci e ombre (con tanto di rapimento di Sardegna)”. Un De André, si aggiunge, che “ha saputo scrivere poesie e vestirle di musica. Ha tentato ostinatamente, riuscendoci, di schierare i suoi versi dando voce agli emarginati, ai poveri, agli sconfitti agli occhi del mondo. ‘L’insegnamento di Cristo ù ci disse in quell’intervista, riportata anche nel libro di Harari ù mi ha spinto a scegliere di cantare la storia degli uomini perdenti. Amo parlare di chi è pronto a pagare per difendere la propria dignità: Dio non si scorderà di loro'”. I perdenti, è il pensiero di De André, “sono le persone che più mi affascinano. Resto convinto che dietro ogni emarginato si nasconda un vero eroe”. Sempre secondo L’Osservatore Romano il cantautore genovese “è stato un uomo che ha scelto di fare della discrezione e del silenzio ù ‘la solitudine’ ù il suo modo di vivere. Uno stile paradossale per un cantante. – si nota nell’aritcolo – In fondo, De André ha badato ‘solo’ a raccontare storie (le sue canzoni sono quasi tutte nate in forma di piccolo racconto), provando a suscitare emozioni e stati d’animo. Non il solo, ma non in numerosa compagnia”. “I tanti discorsi sulla dignità culturale della canzone continuano a rincorrersi stancamente, lasciando spazio a chi ha più capacità pubblicitaria. E la questione delle logiche promozionali coinvolgeva e, forse, irritava De André. Tanto che, proprio a proposito di ‘uffici stampa’, aveva un pensiero provocatorio: ‘Nessuno mi toglie dalla testa che Cristo ha salvato tutti e due i ladroni che stavano sulla croce accanto a lui. Sì, anche quello cattivo. Ma forse il suo ‘ufficio stampa, gli evangelisti, non ha voluto che si sapesse. Ecco così ribadita anche l’attualità della mia vecchia canzone Il testamento di Tito. “De André ha proposto provocazioni con ironia e schiettezza, intelligenza e cultura. – conclude il giornale Vaticano – Non ha avuto remore a parlare di morte, dolore, emarginazione. Non ha fatto calcoli di vendite quando ha scritto in dialetto genovese. Generazioni di italiani sono cresciute cantando le sue canzoni, diventate molto più che canzoni. La guerra di Piero, ad esempio, è ormai un inno contro ogni violenza. Gli venne in mente ascoltando i racconti di suo zio Francesco, spedito sul fronte in Albania e finito prigioniero per due anni in un lager in Germania”. “E anche generazioni di cristiani cantano alcune sue intuizioni. Come l’Ave Maria. Quando glielo ricordammo – ricorda L’Osservatore – ci parve di scoprire un’emozione dietro un sorriso e un filo di voce rauca, avvolto sempre nella nuvola del fumo di sigaretta: ‘Non ho il dono della fede ma nella mia vita non posso prescindere dall’umanità Cristo. E di sua madre'”. Gci/Int2
L’Osservatore romano celebra Fabrizio de Andrè
I suoi versi hanno dato voce agli emarginati e ai poveri