Roma, 27 feb. (askanews) – La caccia che dialoga con la società civile, inclusiva e rispettosa dell’ambiente porta sostenibilità e valore economico ai territori, riscoprendo la ruralità. In quest’ottica, bene la creazione della Cabina di Regia unitaria del mondo venatorio. “L’evoluzione della figura del cacciatore come protagonista della gestione faunistico-ambientale è un processo inevitabile, che fa solo bene al Paese, perché consente di superare le contrapposizioni divisive sulla caccia, alimentate, soprattutto in campagna elettorale, da troppi estremismi”. A sostenerlo è Silvio Barbero, vice Presidente Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, l’ateneo nato dall’idea di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.
“Un’attività venatoria rispettosa dell’ambiente, che dialoghi con il resto della società civile, con il mondo agricolo e la campagna attraverso un rapporto di dialogo e collaborazione – continua Barbero – diventa una risorsa preziosa, perché produce un cambio di cultura decisivo per rimettere il nostro Paese in linea con le migliori esperienze europee”.
Le considerazioni di Barbero trovano riscontro diretto nel “Manifesto per il Paese, il paesaggio, l’ambiente e la ruralità” redatto dalla Cabina di Regia del mondo venatorio e destinato a tutte le forze politiche in vista delle prossime consultazioni elettorali.
“Il metodo seguito dal mondo venatorio non è solo positivo ma oserei dire necessario. Per il mondo della caccia è fondamentale muoversi in una logica unitaria e inclusiva, aperta alla società civile e alle diverse realtà che operano nell’ambito ambientale, altrimenti il rischio è l’isolamento.
La decisione di inserire nel titolo del manifesto la parola ruralità, inoltre, è significativa – prosegue Barbero – perché sottolinea la volontà di riscoprire il legame con le tradizioni del territorio e della campagna. La ruralità non è, infatti, un concetto metafisico, ma vuol dire rispetto della terra, e mettere in pratica modelli di vita e comportamento sostenibili. E questo vale per tutte le categorie, un agricoltore che usa troppa chimica, per esempio, non rispetta la ruralità come valore. Sono felice, invece, che i cacciatori abbiano scelto questo concetto come bussola del proprio agire, suggellato anche da recenti accordi con il mondo agricolo, perché loro devono considerarsi e comportarsi come produttori primari di una risorsa preziosa come la carne selvatica, dalle grandi proprietà organolettiche e ricca di potenzialità dal punto di vista economico”.
Sulla percezione della caccia e del ruolo del cacciatore nell’opinione pubblica Silvio Barbero ha idee chiare: “al netto delle posizioni estremistiche (animalisti, vegani, bracconieri) oggi c’è una percezione ancora diffusa che la caccia sia soltanto un’attività gestita da una corporazione, il cui unico obiettivo è quello di soddisfare un proprio interesse/passione personale attraverso la pratica sportivo-venatoria. Non è e non deve essere così. La caccia di domani dovrà dimostrare di uscire da questo schema, attuando un cambio di paradigma culturale che la immetta a pieno titolo nella società civile, includendo e collaborando con diverse sensibilità su progetti concreti per l’ambiente. Questo cambio di passo, in cui l’arte venatoria si permea sulla cultura della sostenibilità ambientale, porterà valore ai territori dal punto di vista sociale, economico e occupazionale, per esempio grazie alla produzione e alla valorizzazione della filiera della carne di selvaggina. Molti di questi buoni propositi – prosegue Barbero – sono già realtà, attraverso l’operato della Fondazione UNA Onlus, con cui è in corso il Progetto “Selvatici e Buoni”, curato dall’Università Scienze Gastronomiche di Pollenzo in collaborazione con il Dipartimento di Veterinaria dell’Università di Milano e la Società Italiana di Veterinaria Preventiva, che già ha dato positivi riscontri nel bergamasco dove si è creato un proficuo dialogo tra cacciatori, trasformatori e ristoratori per valorizzare la carne di selvaggina, creando nuove opportunità di lavoro, con l’obiettivo di offrire prodotti sani e innovativi. Alla fine di questo percorso – conclude Barbero – comunicheremo i meriti dei ristoratori perfettamente integrati nella filiera della selvaggina, attraverso il rilascio di certificati di qualità”.