Il Papa in Iraq, viaggio contrappunto allo “scontro di civiltà”

Tutte le tappe del viaggio di Francesco da oggi a lunedì

MAR 5, 2021 -

Città del Vaticano, 5 mar. (askanews) – Con il suo viaggio in Iraq – il primo nella storia di un pontefice nel paese medio orientale, il primo in un paese a maggioranza sciita, e inoltre il primo di Francesco dopo 15 mesi ininterrottamente trascorsi in Vaticano a causa della pandemia – il papa delinea una strategia politica e spirituale di contrappunto allo ‘scontro di civiltà’ teorizzato da Samuel P. Huntington.

Il politologo neoconservaore statunitense sostenne, dapprima in un saggio su Foreign Affairs del 1993 e poi nel libro del 1996 ‘The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order’, che i conflitti nel mondo contemporaneo non erano legati alle ideologie o al dominio economico ma nascondevano uno scontro profondo fra culture contrapposte. Due culture, in particolare, egli guardava con sospetto e considerava inconciliabili con l’Occidente, quella cinese e l’islam. Una griglia interpretativa della geopolitica che prese vigore con gli attentati di al Qaida alle Twin Towers e al Pentagono dell’11 settembre 2001 e la decisione dell’allora presidente statunitense George W. Bush di aggredire militarmente dapprima l’Afghanistan dei talebani (2001) e poi l’Iraq di Saddam Hussein (2003). Sotto le bombe rimase a Baghdad un solo ambasciatore ‘occidentale’, il nunzio apostolico Fernando Filoni, che oggi accompagna papa Francesco in Iraq.

Non si comprende il viaggio di oggi se non si ricorda che Giovanni Paolo II cercò di opporsi con ogni forza, e ogni stratagemma diplomatico, all’intervento militare deciso dalla Casa Bianca, e che la Santa Sede ha da allora considerato l’intervento militare del 2003 in Iraq, peraltro motivato con l’esistenza di armi di distruzioni di massa che non c’erano, la madre di tutte le tragedie che da allora hanno investito il Medio Oriente. Seppure i rapporti con Wahsington hanno avuto alti e bassi nel corso degli anni – Joseph Ratzinger, in particolare, ha mostrato notevole simpatia nei confronti di Bush jr, mentre con l’islam mondiale i rapporti sono stati a dir poco problematici – quell’evento rappresentò un momento di frattura, e di grnade impegno, da parte di Karol Wojtyla ieri e di Jorge Mario Bergoglio oggi, nel tendere la mano all’islam mediorientale e mondiale. Nel 2003 gli Stati Uniti sostenevano di voler ‘esportare la democrazia’ e proteggere i cristiani, ma nella lettura vaticana (e non solo) hanno portato instabilità, innescato un’epoca di violenza, migrazioni di massa, nonché un’ondata di attentati che ha colpito in particolare i cristiani, percepiti sciaguratamente non più come fratelli ma minoranza protetta – è la retorica jihadista – dai ‘crociati’ occidentali. Già nel 1999 Giovanni Paolo II voleva visitare l’Iraq, ma Washington pose il veto. ‘Non si può deludere un popolo per la seconda volta’, ha detto nei giorni scorsi Francesco spiegando la ragione profonda di un viaggio che ha fortemente voluto nonostante i rischi legati alla pandemia, alla recrudescenza di attentati – lo storico Andrea Riccardi lo ha definito ‘forse il viaggio più pericoloso’ del papa – nonché della sua dolorosa sciatalgia.

Le tappe della visita delineano una attenta strategia che sistematicamente contrasta la retorica dello scontro di civiltà, caro tanto alla scuola neoconservatrice statunitense quanto ai jihadisti di al-Qaeda o dell’autoproclamato Califfato, sottrae il cristianesimo alla strumentalizzazione identitaria, smonta l’idea che i cristiani siano una propaggine occidentale distinta dagli altri iracheni. ‘Siete tutti fratelli’ è, non casulamente, il motto del viaggio.

Partito questa mattina alle 7.45 dall’aeroporto romano di Fiumicino, la consueta borsa nera a mano e la mascherina bianca sul volto, Papa Francesco va in Iraq perché invitato dalla Chiesa locale – e in particolare dalla cordiale insistenza del patricarca di Babilonia dei caldei, Louis Raphale Sako – ma anche dallo Stato iracheno, ben contento di avere un così eminente ospite portatore di un messaggio di pace e riconciliazione di cui l’Iraq ha tanto bisogno. Giunto all’aeroporto di Baghdad a mezzogiorno (le 14 ora locale), Jorge Mario Bergoglio viene accolto dal primo ministro Mustafa Abdellatif Mshatat e da una cerimonia di benvenuto nel palazzo presidenziale con una visita di cortesia al capo dello Stato Barham Ahmed Salih Qassim al termine del quale, alle 13.45 (13.45 a Baghdad) il papa tiene il suo primo discorso.

Alle 14.40 (le 16.40 irachene) Francesco fa il suo ingresso nella cattedrale di Sayidat al-Nejat (Nostra Signora della Salvezza), accolto da Sua Beatitudine Ignace Youssif III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri, e dall’Arcieparca Mons. Ephrem Yousif Abba, per incontrare vescovi, sacerdoti, religiosi e seminaristi. Il luogo è carico di significato, e la visita mette in luce che il papa viene in Iraq per offrire consolazione, vicinanza, coraggio ai cristiani locali: qui il 31 ottobre del 2010 un attentato terroristico del cosiddetto Stato islamico nel pieno di una messa ha provocato 48 vittime per le quali è in corso il processo di canonizzazione: una lastra di marmo dall’altare al sagrato ricorda la striscia di sangue. Il papa si reca poi alla nunziatura – il nunzio apostolico, mons. Mitja Leskovar, è in isolamento in un’ala dell’edificio perché positivo al Covid – dove pernotterà tutte e tre le notti irachene.

Domani, sabato 6 marzo, Francesco fa due visite in due luoghi ad altissimo valore simbolico, che mettono in luce il carattere interreligioso del viaggio. La mattina si reca a Najaf, città santa dell’islam sciita, dove, alle 7 (le 9 in Iraq) rende una visita privata al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, 91 anni, leader della comunità sciita irachena e direttore della hawza (ovvero del seminario religioso sciita duodecimano) della città dove si trova la tomba del primo imam degli sciiti, nonché di una delle figure più riverite dell’islam tutto, Ali ibn Abi Talib, cugino e genero di Maometto e primo uomo ad essersi convertito all’islam. Come spiega lo studioso Vali Nasr nel suo saggio ‘The Shiah Revival’, si tratta di un leader spirituale guardato con rispetto, ma anche qualche freddezza, dall’Iran (l’altro paese dove lo sciismo è maggioritario), defilato negli anni in cui era al potere Saddam Hussein e gli sciiti erano discriminati, oggi una figura di enorme influenza politica oltre che spirituale. L’incontro tra il papa e l’ayatollah sarà strettamente privato, e, come ha ricostruito l’Associated press, curato fino all’ultimo dettaglio: al Sistani, che riceve molto raramente degli ospiti, attenderà il vescovo di Roma, in segno di reverenza, in piedi nella sua abitazione, i due discorreranno poi alla presenza dei soli interpreti per 45 minuti sorseggiando the, Francesco seduto su un divano blu. Non è previsto, al momento, alcun documento congiunto, piuttosto una dichiarazione finale del grande ayatollah. Francesco si trasferirà poi a Nassiriya, e alle 9.10 (11.10 in Iraq) arriverà a Ur, la città archeologica dove sorge la maestosa torre a gradoni Ziqqurat, dedicata al Dio della luna sumero. Secondo la tradizione a Ur nacque Abramo, il patriarca da cui discendono le tre religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo e islam. Qui Francesco avrà un incontro interrelogioso con rappresentanti di tutte le fedi presenti in Mesopotamia, a sottolineare che pur nelle differenze dei rispettivi credo gli esseri umani, accomunati dallo stesso padre, sono tutti fratelli.

La fratellanza, non a caso, è tanto il tema al centro della dichiarazione congiunta che il Papa firmò il 4 febbraio del 2019 con il grande imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib (rappresentante di spicco dell’islam sunnita), sia della sua ultima enciclica ‘Fratelli tutti’, ispirata, lo scrive Francesco stesso, all’incontro con l’imam. Una visione tutt’altro che naif, quella di Bergoglio: in visita di recente nella casa romana di Edith Bruck, scrittrice ebrea di origini ungheresi sopravvissuta ai lagera nazisti, il papa ha esclamato: ‘Siamo tutti fratelli, anche se, a volte, Caino se lo dimentica, come è stato nel ‘900’.

Il pomeriggio di sabato il papa, rientrato a Baghdad, celebra messa alle 15.30 (17.30 locali) per la comunità cattolica (caldea) nella cattedrale di San Giuseppe, per poi far rientro in nunziatura.

L’ultimo giorno, domenica 7 marzo, è dedicato ai due luoghi dove i cristiani sono stati cacciati dall’Isis e dove hanno trovato rifugio. Oltre un milione e mezzo a inizio del secolo, oggi i cristiani iracheni non raggiungono il mezzo milione. Una tappa, quest’ultima, tesa a incoraggiare il piccolo gregge a rimanere nel loro paese, ma anche a incoraggiare le locali autorità a lavorare insieme per un futuro migliore, nonché a perorare la causa di un ordine costituzionale che, riconoscendo a tutti i gruppi etnici e religiosi uguali diritti e uguali doveri, superi la concezione settaria della società irachena. Già Benedetto XVI, nell’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente (2012) lo sosteneva. Il papa vola dapprima nel Kurdistan iracheno, dove a Erbil incontra, alle 6.30 (8.30 locali) le autorità curde, poi si strasferisce in elicottero a Mosul, negli anni scorsi caposaldo del cosiddetto Stato islamico in Iraq, tuttora devastata. Alle 8 (le 10 irachene) presiede un momento di preghiera di suffragio per le vittime di guerra a Hosh al-Bieaa, piazza delle quattro chiese – siro-cattolica, armeno-ortodossa, siro-ortodossa e caldea -, distrutte tra il 2014 e il 2017 dagli attacchi terroristici. Poi, sempre in elicottero, si trasferisce a Qaraqosh, la città martire, la prinipale città cristiana del paese: nell’estate del 2014 venne invasa dai miliziani del sedicente Stato Islamico, che ne distrussero le case, devastano le chiese, la biblioteca e altri edifici importanti. Alle 9.30 la visita, il discorso e l’Angelus alla Cattedrale dell’Immacolata Concezione. Nel pomeriggio alle 14 (le 16 locali), dopo un ulteriore trasferimento, la messa nello stadio di Erbil: 10mila buglietti per assicurare il distanziamento in un luogo che può contenere 30mila persone. Infine il rientro a Baghdad e, lunedì, il rientro a Roma.