Milano, 17 set. (askanews) – Le immagini della California e dell’Oregon devastati dagli incendi stanno facendo il giro del mondo. E l’allarme negli Stati Uniti non riguarda solo le aree, peraltro enormi, nelle quali il fuoco non accenna a placarsi, ma anche la costa Est, apparentemente lontana dalle “zone calde” del Paese, ma in realtà a Washington DC e a New York la popolazione è già potenzialmente a rischio sanitario per via dei fumi che arrivano da Ovest. Particolarmente virulenti nel 2020, gli incendi sono collegati da sempre più scienziati al cambiamento climatico, a fronte anche del fatto che l’anno che stiamo vivendo è uno dei più caldi di sempre. Posizione assunta anche da Climate Reality, il progetto fondato da Al Gore per agire sul tema, ormai non più procrastinabile, come ha capito anche il candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden, e decisivo per il presente, non solo per il futuro. Ma gli Stati Uniti non sono l’unico fronte.
Negli ultimi mesi, infatti, roghi devastanti hanno colpito la Grecia, il Brasile, l’Argentina, la Bulgaria e l’Indonesia. Una serie di indizi che, secondo gli attivisti per il clima, che denunciano la relazione tra le fiamme e i combustibili fossili, fa più di una prova. Alla quale, e qui l’intensità drammatica cresce ulteriormente, si aggiunge anche l’Artico, dove molte zone intorno al Circolo Polare, come ha documentato una rivista autorevole come Nature, stanno bruciando.
Incenerite ampie zone di tundra, città siberiane coperte di cenere: sono queste le immagini che arrivano da quella che dovrebbe essere una delle zone più fredde del pianeta. A dimostrazione che la pandemia da coronavirus è certamente l’emergenza che domina le agende globali, ma la crisi climatica, seppur silenziata per alcuni mesi, resta gravissima e sempre più vicina a un punto di non ritorno. Oltre che, secondo diversi studi, correlata anche alla diffusione di malattie da inquinamento che potrebbero favorire l’attacco del Covid-19.