Roma, 8 feb. (askanews) – Tra le tante priorità che il Governo Draghi dovrà immediatamente affrontare il lavoro avrà certamente una corsia preferenziale. Nell’agenda del premier incaricato, Mario Draghi, dovranno trovare soluzione diversi nodi ancora aperti: blocco dei licenziamenti, in scadenza il 31 marzo, riforma degli ammortizzatori sociali, politiche attive e reddito di cittadinanza, nuovi modelli organizzativi. Ad indicare i temi caldi sono i Consulenti del Lavoro.
“Sono necessari degli interventi di sistema, utili non solo ad avere risultati-tampone immediati, ma anche ad essere fondamenta per il rilancio futuro del Paese. Per pianificare gli interventi necessari è quanto mai opportuno partire dalle criticità emerse nella gestione di questo lungo periodo di pandemia, intervenendo con riforme di sistema anche tramite i fondi che saranno assegnati al Recovery Plan”, ha commentato Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro.
Il divieto di licenziamento è una delle criticità che il nuovo Esecutivo dovrà affrontare per prima. Si stima infatti che, con lo sblocco dei licenziamenti, le piccole e medie imprese registreranno un calo dell’occupazione di 1 milione di posti di lavoro a causa dell’emergenza. Al momento la scadenza è fissata al 31 marzo, ma da tempo vi sono pressioni per spostarla più in avanti. “Ma il problema non è quando interrompere il divieto, ma come gestirne le conseguenze. Prorogare il blocco, senza avere le idee chiare su cosa fare dopo, è solo un modo per procrastinare il problema. La soluzione primaria è evidente: la ripartenza immediata dell’economia, che permetterebbe alle aziende oggi in difficoltà assoluta di poter tornare ad assumere. Ma non si può prescindere da una profonda rivisitazione del sistema delle politiche attive del lavoro, che in questi anni ha mostrato tutti i limiti strutturali di cui soffre”, osservano i Consulenti del lavoro.
Se si parla di politiche attive, non si può non fare accenno al Reddito di Cittadinanza, sempre al centro del dibattito politico.
“Non c’è dubbio che la riforma varata nel 2019 sia rimasta incompleta, quindi non si può che parlare di una misura inefficace. Non tanto nella parte relativa alle politiche passive, dove ha svolto un importante ruolo assistenziale durante la pandemia, quanto per quella relativa alle politiche attive, rimaste ferme alla previsione normativa mai attuata”, sottolineano. L’Italia è il Paese delle politiche passive, da sempre presenti nel nostro ordinamento, “ma è estremamente carente in quelle attive. Ecco, dunque l’immediata necessità di dotarsi di strumenti necessari a determinare un repentino rientro del lavoratore espulso dal mercato. Vanno dunque riorganizzati i Servizi per il Lavoro, in modo da renderli funzionali all’attuale situazione”. In tal senso vanno rivalutati ruolo e mission dell’Anpal, dei Centri dell’Impiego e del collocamento privato.
Ed è diventato indispensabile virare sulla telematica al servizio della diffusione territoriale dei punti di contatto tra cittadini in cerca di occupazione e le agenzie per il lavoro. Modalità, questa, che non potrà che far decollare anche l’altra parte delle politiche attive, quello cioè legata alla formazione e riqualificazione del lavoratore che ha perso occupazione. Un modo per modernizzare un pezzo importante del Paese, utilizzando in modo estremamente utile i fondi in arrivo.
Per i Consulenti del lavoro “qualsiasi buona politica attiva posta in essere deve fare i conti con la domanda, che al momento è quasi totalmente assente. Per far ripartire in tempi rapidissimi l’economia una buona iniziativa sarebbe quella di immettere subito nell’economia reale importanti somme, provenienti dal Recovery Plan”. Si tratta della prevista anticipazione, erogata subito dopo l’approvazione, che potrebbe sfiorare i 30 miliardi assegnati entro fine anno. In sostanza, bisognerebbe evitare che le procedure burocratiche dilatino i tempi dell’effettivo utilizzo dei fondi. “Non sono, infatti, brevi i tempi per avviare l’iter per l’approvazione e il finanziamento di nuovi lavori, condizionati come sono dai tanti adempimenti necessari. Una soluzione potrebbe essere quella di finanziare moltissime opere, piccole e grandi, necessarie per i Comuni, ma ferme perché prive di coperture. Non vi è dubbio che il periodo pandemico, tra i tanti effetti collaterali negativi, abbia causato una grossa contrazione degli introiti degli enti locali. E ciò ha prodotto il fermo di molti progetti già pronti, ma carenti di fondi. Finanziare queste attività, fatti i preventivi e dovuti controlli di legittimità, significherebbe far ripartire immediatamente l’economia reale in migliaia di Comuni e con essa il lavoro”.
Mlp/Int5