Toshiba Roma, 7 giu. (askanews) – Il numero uno di Toshiba, il gigante dell’elettronica giapponese, ha detto in un’intervista pubblicata oggi dal Financial Times che non avrebbe problema a essere ricordato come l’amministratore delegato che ha venduto Toshiba, a condizione che tale operazione faccia “la compagnia grande”. La dichiarazione di Taro Shimada viene in un momento di particolare fibrillazione per il keiretsu (conglomerato) nipponico, da tempo teatro di una guerra interna tra il management e gli azionisti attivisti, molti dei quali fondi stranieri. Shimada è arrivato a capo della compagnia – un’azienda con 146 anni di storia – dopo una serie di siluramenti e dimissioni di alti dirigenti della compagnia. Alla base della sua azione c’è un consiglio d’amministrazione profondamente diviso nelle idee relative alle prospettive della compagnia. L’amministratore delegato ha detto che vorrebbe essere ricordato come “il CEO che ha fatto rinascere Toshiba”, cioè di essere disponibile anche ad andare alla vendita. “Alla fin fine, dalla mia prospettiva, voglio rendere la compagnia grande in ogni modo. E sono aperto a ogni opzione”, ha continuato. Ci sono dieci compagnie che hanno presentato manifestazioni d’interesse. Tra queste, anche i fondi statunitensi Bain Capital, KKR e Blackstone. Una shortlist dovrebbe essere preparata in estate. Intanto, però, nel consiglio d’amministrazione le acque continuato a essere profondamente agitate. La proposta d’inserire nell’organo decisionale un consigliere che fa riferimento agli azionisti attivisti Farallon e Elliott, che in un primo momento sembrava essere accettata unanimemente, ha trovato opposizione, rendendo ancora più balcanizzata la situazione a livello di Cda. Lo scorso anno la Toshiba ha rifiutato di prendere in considerazione l’offerta di acquisto da parte di CVC Partners, provocando il disappunto degli azionisti. Il management ha cercato invece di procedere a una ristrutturazione dividendo in due la compagnia. Ma a marzo gli azionisti hanno votato contro il piano, per cui il management si è trovato costretto a proporre agli azionisti delle alternative, tra le quali anche quella della vendita, che dovranno pervenire entro il 30 maggio. I fondi stranieri sono entrati in Toshiba nel 2017, quando 2017 il conglomerato è riuscito a salvarsi, proprio con questi investimenti, dal crollo finanziario dopo la bancarotta della sua controllata Westinghouse Electric. Alla base della battaglia in corso c’è la volontà di questi azionisti attivisti di mettere in discussione il modello di governance tradizionale giapponese adottato da Toshiba e, quindi, di portare nel conglomerato un management esterno. Insomma, si tratta di una partita che va oltre la contingente crisi di Toshiba e investe un modo di gestire le imprese che è tipico giapponese. Tuttavia anche l’ipotesi di uscire dalla borsa di vendere, se pure avrebbe il vantaggio di sanare la frattura tra azionisti attivisti e management, porrebbe delle incertezze sul fronte regolatorio: il Giappone ha recentemente approvato una nuova normativa che limita le possibilità di investimento straniere in alcune imprese strategiche. E Toshiba è attiva, tra l’altro, nell’industria nucleare.
Toshiba, a.d. Shimada: vendere solo per rendere grande compagnia
Continua la battaglia tra management e azionisti attivisti