Roma, 15 feb. (askanews) – C’è un equilibrio difficile da mantenere nell’economia in era pandemica tra l’andamento del reddito nazionale e quello delle infezioni: quanto più circola l’economia, circolano gli scambi, tanto più circola anche l’infezione. Il Giappone, con i dati diffusi oggi dall’Ufficio di gabinetto relativi all’ultimo trimestre del 2020, che testimoniano una decisa ripresa, dimostra che è possibile cercare di contemperare le esigenze dello sforzo anti-epidemico con quelle dell’economia. Ma, nello stesso tempo, che questo equilibrio è molto delicato.
Nel quarto trimestre del 2020, il Giappone ha registrato un incremento annualizzato del 12,7 per cento e su base trimestrale del 3 per cento. Questo limita la perdita di Pil dello scorso anno al 4,8 per cento. Si tratta sì del dato peggiore dal crollo del 5,8 per cento avvenuto nel 2009 sulla scorta della crisi globale dei subprime, ma è molto migliore di quanto prevedesse il Fondo monetario internazionale a settembre (-5,3 per cento) e di quanto ancor prima probabilmente gli stessi leader giapponesi potessero sperare.
“L’economia giapponese ha per lo più riguadagnato i livelli pre-Covid” ha sostenuto Hideo Kumano del Dai-ichi Life Research Institute al Nikkei Asia. Grazie all’espansione del 22 per cento nel trimestre luglio-settembre, che godeva anche della controversa campagna “Go To Travel” voluta dal governo per riattivare il comparto del turismo interno, poi interrotta con l’arrivo di una nuova ondata di contagi e di un secondo stato d’emergenza limitato a Tokyo e altre 10 prefetture.
Va detto, comunque, che per il Giappone “stato d’emergenza” non indica misure restrittive come i lockdown, ma richieste alla popolazione e alle imprese: non uscire se non per necessità, limitare gli orari di esercizio dei locali pubblici, spostare sul telelavoro il 70 per cento delle operazioni precedentemente fatte in presenza.
D’altronde, il Giappone è riuscito a limitare la pandemia. Su una popolazione di 126 milioni di abitanti, ha avuto poco più di 400mila contagi e circa 7mila morti. Per fare un paragone: l’Italia con la metà della popolazione, facendo anche lockdown duri e imponendo col rigore della legge limitazioni pesanti anche in termini economici, ha avuto qualcosa come 2,6 milioni di casi confermati e oltre 91mila morti.
Anche la nuova ondata, tra l’altro, è stata abbastanza imbrigliata, apparentemente. Oggi le autorità segnalano meno di 1.000 nuovi casi con 66 decessi legati al coronavirus. Tuttavia si tratta di un lunedì, giorno in cui il numero di nuovi contagi solitamente risulta basso.
Kumano dà il merito della ripresa soprattutto alle azioni di politica economica messe in campo dal governo, a partire dai generosi ristori e da misure come i sussidi a sostegno dell’occupazione che sono riusciti a evitare una fiammata di licenziamenti e a contribuire a mantenere alta la fiducia dei consumatori.
Certo, si tratta di provvedimenti che costano. Il ministero delle Finanze nipponico ha stanziato, in vari pacchetti di stimolo, l’equivalente di 3mila miliardi di dollari, necessari sia per affrontare la crisi economica sia per contrastare quella sanitaria. A sostegno di questo sforzo, ha emesso bond in quantità record: 236mila miliardi di yen (2.250 miliardi di dollari).
Questo porta il debito pubblico nipponico, che era già prima della pandemia il più alto tra i paesi più sviluppati al mondo, a record mai toccati prima. Fitch – che assegna un rating “A” con outlook negativo al Giappone – ha stimato che il debito pubblico giapponese sia salito dal 231,2% del Pil del 2019 al 254,8%. Si tratta di un valutazione probabilmente leggermente sovrastimata, perché si basa su un calo del prodotto interno lordo previsto nel 2020 del 5,3 per cento, mentre è stato del 4,8 per cento.
Certo, va ricordato che la struttura di questo debito consente una certa resilienza ai conti pubblici nipponici: da un lato i rendimenti sono negativi e – secondo Fitch – rimarranno tali per qualche anno ancora, vista anche la politica decisamente espansiva della Banca del Giappone; dall’altro sono per grandissima parte nelle mani di investitori giapponesi interessati alla tenuta del sistema.
Kumano comunque ritiene che le cose, nel quarto trimestre, sarebbero potute anche andar meglio, se l’economia non avesse corso eccessivamente nel terzo. “Il passo della ripresa probabilmente è stato troppo rapido e ha causato un picco delle infezioni nel quarto trimstre”, ha detto l’analista. Qui c’è proprio quella necessità di equilibrio tra misure anticicliche e misure anti-pandemia a cui si accennava. Finché, insomma, la spada di Damocle del virus non svanirà, difficile sperare di mettere il turbo alla ripresa.
In questo senso, la chiave saranno le vaccinazioni, ma il Giappone su questo fronte appare pericolosamente in ritardo: solo mercoledì inizieranno le inoculazioni agli operatori sanitari direttamente coinvolti nella cura dei pazienti Covid e sia l’approvvigionamento dei vaccini sia la tempistica del piano vaccinale appaiono rallentati.
Ciononostante, gli investitori sembrano scommettere sul Giappone. Oggi alla Borsa di Tokyo l’indice Nikkei 225 ha superato a un certo punto quota 30.000, un livello che non veniva raggiunto dal 1990. Ma allora c’era la “bubble economy”, il Giappone incalzava l’economia Usa come capofila globale e sei delle prime 10 banche planetarie, e tra esse le prime quattro, erano giapponesi. Un altro mondo, insomma.