Milano, 14 lug. (askanews) – È durata solo tre ore e non c’era niente da vedere se non delle pareti bianche. In occasione del compleanno di Piero Manzoni, lo spazio The Open Box di Milano ha riproposto l’Esposizione internazionale del Niente, una mostra teorizzata da un Manifesto del 1960 firmato, tra gli altri da Manzoni, da Enrico Castellani, da Carl Laszlo e Heinz Mack ma che non è chiaro, al netto anche da un potenziale pesce d’aprile organizzato da una galleria di Amsterdam l’anno successivo, se sia mai stata realizzata davvero.
E quindi l’evento milanese, che, anche nello spirito della consumazione dell’arte di manzoniana memoria, è durato solo lo spazio di una serata, potrebbe anche essere la prima assoluta dell’Esposizione di Niente. In realtà nello spazio di via Pergolesi curato da Gaspare Luigi Marcone qualcosa c’era, in mezzo alle quattro pareti bianche: la Fondazione Piero Manzoni infatti ha messo a disposizione un manifesto originale del Niente, intorno al quale, in un dialogo più pratico che metafisico, in questo distinto dalla ricerca del Vuoto di Yves Klein, si sono strutturati i muri di Open Box, simbolo rinnovato di una ricerca culturale d’avanguardia che anticipò, oltre 50 anni fa, per esempio, l’idea del “vanishing point” dell’arte contemporanea poi teorizzato da Jean Baudrillard.
E così allo scoccare delle ore 21, come annunciato da un invito nel quale era dichiarato che nessuno avrebbe preso la parola, sull’Esposizione internazionale del Niente, si è chiusa, inesorabile e definitiva, la saracinesca dell’Open Box. Ma dentro, in fondo, non c’era niente… oppure sì, c’era un’idea di Arte che continua a vivere, anche dopo la scomparsa della non-mostra milanese.