Milano, 20 dic. (askanews) – Da una decina di anni a questa parte il whisky cresce in Italia e nel mondo. Secondo il report “Malt Whiskey Market” di Allied Market Research, il mercato globale del whisky di malto, stimato per il 2021 in 4,3 miliardi di dollari, crescerà fino a raggiungere entro il 2031 i 6,7 miliardi. L’aumento costante degli appassionati, del mercato e del fatturato, e la crescente popolarità in Italia di questo superacolico ottenuto dalla fermentazione e successiva distillazione di vari cereali, è testimoniato dal successo ottenuto dal “Milano Whisky Festival” che si è da poco concluso al Palazzo delle Stelline. Una rassegna a cui hanno partecipato produttori di tutto il mondo con circa quattromila referenze, e cinquemila visitatori da tutta Italia e qualcuno anche dall’estero. “In questi anni il mondo del whisky è cambiato tanto, innanzitutto è aumentato il consumo in Italia che aveva avuto un’enorme flessione negli anni Ottanta e Novanta” ha spiegato ad askanews Andrea Giannone, fondatore insieme con Giuseppe Gervasio Dolci della manifestazione, la cui prima edizione è stata nel 2006. “Allora la metà dei nostri visitatori era over 40, mentre oggi ha tra i 25 e i 35 anni e quest’anno abbiamo avuto oltre il 20% di pubblico femminile mentre alla prima edizione le donne saranno state tre” prosegue Giannone, sottolineando che “il pubblico cresce anno dopo anno: c’è una parte di pubblico molto competente e un’altra curiosa che viene perché ha la possibilità di trovare whisky di tutti i tipi e per tutti i gusti, e quindi di scoprire quello che più gli piace”. Ma quanto costa un buon whisky? Secondo gli appassionati per un “single malt” (ricavati dalla distillazione di solo malto d’orzo), che difficilmente si trova sotto i 30 euro, si parte da 50 euro e ha poco “senso”, se non per uno sfizio fine a se stesso, superare i 300. Per i “single malt” irlandesi e giapponesi invece il prezzo sale molto. Discorso diverso per i “blended scotch” (ottenuti dalla miscelazione di whisky di cereali e di malto) per cui va bene spendere anche 20-25 euro, così come per i “bourbon” (i whiskey prodotti negli Usa per fermentazione e distillazione di granoturco, segale e malto d’orzo) che costano poco, non perché sono di qualità inferiore ma perché solitamente sono invecchiati solo due-tre anni. “Il prezzo di un prodotto di qualità, sto parlando quindi di single malt scotch whisky, non ha subito grandi variazioni per quanto riguarda quelli invecchiati tra gli 8 e i 12 anni, mentre per quelli oltre i 15 anni i prezzi sono lievitati” spiega Giannone, precisando che “quelli invecchiati 18 anni, che fino a cinque anni fa costavano cento euro, oggi ne costano 200, perché il consumo di whisky, in particolare di quello di qualità, è aumentato molto e le distillerie hanno poco prodotto”. “Visto che a partire dal 2010-2012 la maggior parte delle distillerie ha incominciato a produrre molto di più (alcune anche il 100% in più), nel giro di qualche anno il prezzo dei single malt scotch whisky con invecchiamenti importanti potrebbe stabilizzarsi” ha proseguito l’esperto , aggiungendo che poi “c’è poi il tema del mercato indiano”. “Sembra infatti che la Gran Bretagna stia chiudendo un accordo con l’India, il Paese dove si beve più whisky al mondo, per esportare scotch senza dazi (che al momento sono altissimi e si aggiungono a ferrei limiti di importazione) – continua – e se succedesse ci sarebbe un mercato da 3-400 milioni di persone e questo potrebbe far lievitare i prezzi in modo incalcolabile”. Se nel 2021 il primo produttore di whisky al mondo è sempre la Scozia (trainata dallo scotch Johnnie Walker, inossidabile campione di vendite), l’Europa è il mercato più importante, con i volumi maggiori che in Italia passano per la gdo (che offre oramai una bella scelta di distillati di qualità) e con l’e-commerce in crescita esponenziale. “Il Covid ha dato un enorme slancio ai negozi on-line – spiega Giannone che è anche contitolare del sito whiskyshop.it – basti pensare che il nostro che ha circa 700 referenze, nel 2022 fatturerà 11 volte più che nel 2019”. Quale è invece la situazione nel canale horeca? “Per quanto riguarda i locali, è aumentata l’offerta e la qualità, basti pensare che per esempio a Milano ci sono oggi almeno dieci locali con oltre cento whisky di livello in mescita, una cosa impensabile fino a 25 anni fa” risponde Giannone, aggiungendo che “anche negli alberghi italiani solitamente c’è una buona offerta, mentre chi è ancora indietro sono i ristoranti: i clienti sono convinti che il cosiddetto ‘ammazzacaffé’ o ‘bicchiere della staffa’ debba essere offerto dal ristoratore che naturalmente non può aprire una bottiglia da cento euro. La gente fa ancora fatica a pensare di spendere magari 15 euro per bere un buon bicchiere di whisky”. Oltre ai distillatori, nel mondo di questo superacolico ci sono gli imbottigliatori indipendenti (alcuni ben più importanti e ricchi dei primi), quelle aziende, soprattutto scozzesi (ad esempio Gordon & MacPhail, Cadenhead e Douglas Laing) ma anche italiane, che vanno nelle varie distillerie, selezionano i barili che gli piacciono e imbottigliano il prodotto. Si tratta quindi di produzioni limitate, dato che da un barile si fanno circa 300 bottiglie, finite le quali è finito quel whisky. Questo distillato viene oramai realizzato in tutto il mondo, basti pensare che al “Milano Whisky Festival” erano presenti produttori danesi, francesi, corsi, svedesi, cechi, svizzeri, olandesi e taiwanesi. Anche l’Italia fa la sua parte e non solo sul fronte degli imbottigliatori: alla distilleria Puni, che dal 2012 produce “The Italian Malt Whisky” in un avveniristico cubo alle porte di Glorenza (Bolzano), si affianca ora Strada Ferrata, che ha sede a Seregno (Monza). Ha iniziato a distillare l’11 febbraio del 2021 e dunque il suo primo whisky di cereali arriverà nel 2024, dopo un affinamento di tre anni in botte.
Cresce il mercato del whisky: piace sempre più anche a giovani e donne
Askanews ne ha parlato con Andrea Giannone di Milano Whisky Festival