Roma, 17 mag. (askanews) – Non darà certamente il suo contributo alla decarbonizzazione, fulcro della transizione energetica che ha l’obiettivo di raggiungere i target di emissioni di CO2 fissati dall’Europa al 2030 e al 2050, ma rimane sullo sfondo come prospettiva di lungo termine. Parliamo della fusione nucleare. Si tratta di replicare sulla terra il processo di fusione che avviene nelle stelle per ottenere una sorgente di energia elettrica pulita, senza scorie di lunga durata, sicura e libera da CO2. Una sfida scientifica e tecnologica su cui la ricerca mondiale è impegnata da anni e in cui anche il nostro Paese gioca un ruolo importante.
L’Italia – con ENEA in prima fila grazie alla lunga esperienza maturata in questo campo di ricerca – sta lavorando al DTT (Divertor Tokamak Test facility), che servirà a studiare la fusione termonucleare controllata, un tassello importante nel più ampio panorama europeo e mondiale per lo studio della fusione, direttamente collegato all’esperimento ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) in costruzione a Cadarache in Francia e al quale partecipano Unione Europea, Giappone, Corea, Cina, Russia, Stati Uniti e India e al successivo DEMO, il reattore che dopo il 2050 dovrà produrre energia elettrica da fusione nucleare. Già , ma quanto dopo?
Per fare il punto askanews ha interpellato il direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza nucleare dell’ENEA Ing. Alessandro Dodaro.
Ing. Dodaro partiamo dal progetto italiano DTT, che vede coinvolti ENEA, Eni e il Consorzio CREATE. Ad oggi sono stati assegnati contratti per oltre 85 mln di euro, nel consorzio sono entrati sei nuovi soci. A che punto è la realizzazione di DTT?
‘Le attività di progettazione dei componenti procedono nonostante le difficoltà causate dalla pandemia: sono in corso di pubblicazione o assegnazione gare per altri 100 milioni di euro che porteranno, a fine anno, ad aver completato il commitment di ben oltre un terzo del totale previsto. L’ENEA – annuncia Dodaro – è in procinto di assegnare al Consorzio nuove risorse di personale (circa 20 unità ), selezionate nell’ultima tornata concorsuale appositamente per il progetto DTT, allo scopo di incrementare, insieme agli altri due soci fondatori, ENI e Consorzio CREATE, l’impegno fin qui dedicato. Naturalmente, l’apporto tecnico-scientifico dei nuovi partner del Consorzio (l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, il Consorzio RFX e le Università di Tor vergata, della Tuscia, Milano Bicocca e Politecnico di Torino, senza dimenticare il Consiglio Nazionale delle Ricerche che sta finalizzando l’ingresso nella compagine societaria), saranno estremamente utili per mantenere tempi di realizzazione della facility coerenti con la programmazione ed ottenere il primo plasma nello stesso periodo in cui sarà ‘acceso’ ITER’.
Qual è il ruolo del DTT rispetto al progetto ITER, il reattore sperimentale in costruzione in Francia che ha il compito di dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione come fonte di energia?
‘Il reattore ITER sarà il primo esperimento in cui la potenza rilasciata dalle reazioni di fusione dovrebbe superare ampiamente quella iniettata nella camera di reazione per raggiungere i valori di densità e temperatura del plasma necessari in un reattore a fusione che possa immettere energia in rete: rappresenta, quindi, una estrapolazione rispetto agli esperimenti attuali significativa per la dimostrazione delle potenzialità dell’energia da fusione ma sufficientemente piccola da renderci confidenti nel raggiungimento degli obiettivi. Proprio la scala ridotta rispetto a un reattore commerciale rende necessario affrontare in altri esperimenti alcuni aspetti fondamentali per arrivare in fondo alla Raodmap europea per l’energia da fusione. DTT (Divertor Tokamak Test) è probabilmente il più importante fra gli esperimenti ‘collaterali’ ad ITER – spiega l’ing. Dodaro – in quanto affronta lo smaltimento del calore generato dalle reazioni di fusione e utilizzato per mantenere il plasma alla temperatura di 100 milioni di gradi, convogliandolo su un componente dedicato, il divertore, che subirà carichi termici analoghi a quelli che si hanno sulla superficie del sole! Per studiare configurazioni alternative di divertore, la Roadmap prevede la realizzazione di una facility con lo scopo di trovare una soluzione estrapolabile ai futuri reattori commerciali, che l’Italia si è impegnata a realizzare nel Centro Ricerche di Frascati dell’ENEA’.
La costruzione di ITER è iniziata nel 2007, quanto manca al suo completamento? E quando si inizieranno a raccogliere i dati?
‘Il completamento delle attività di realizzazione è previsto per la fine del 2025 e, dopo le necessarie verifiche e collaudi dei diversi sistemi di gestione e controllo della macchina, che dureranno da sei mesi a un anno, gli esperimenti inizieranno nella configurazione preliminare del plasma costituito da solo deuterio. Nel primo decennio di funzionamento, periodi di sperimentazione scientifica si alterneranno a periodi di ulteriore assemblaggio per portare la macchina alla configurazione a piena potenza, che è prevista a partire dal 2035. E’ importante sottolineare che fin dal primo istante di accensione del plasma, ITER fornirà a tutta la comunità scientifica internazionale un’enorme mole di dati, fondamentali per il prosieguo del percorso verso l’energia da fusione’.
Se la sperimentazione di ITER avrà successo, si passerà a realizzare DEMO il primo prototipo di reattore a fusione nucleare, che spianerà la strada ai reattori commerciali capaci di trasformare l’energia della fusione nucleare in energia elettrica. Quando si prevede che entri in funzione DEMO?
‘Premesso che fare previsioni così a lungo termine è difficile ed espone al rischio di essere smentiti per eccesso di ottimismo (o pessimismo, a seconda dell’inclinazione di chi si prende l’onere di farle), il Consorzio EUROfusion (che gestisce le risorse economiche messe a disposizione dalla Commissione Europea per le attività di ricerca sulla fusione) prevede la fine delle attività di progettazione entro l’anno 2050 e quindi l’inizio della fase di realizzazione. Grazie all’esperienza nella costruzione di ITER, è ragionevole supporre che per DEMO si procederà più rapidamente e quindi avere il primo plasma una decina di anni dopo la fine della progettazione’.
Quando si parla di quello che DEMO promette, energia elettrica prodotta dalla fusione, si dice sempre che avverrà dopo il 2050. È inevitabile fissare un termine generico, vista la complessità della sfida, oppure alla luce dell’andamento del progetto si può tentare di essere più precisi? C’è il rischio di non arrivare al traguardo?
‘La produzione di energia elettrica da fusione è una sfida tecnologica e scientifica di estrema complessità per diverse ragioni. Ad esempio: occorre portare il plasma a una temperatura molto superiore a quella del sole, visto che in un reattore a fusione non c’è la forza di gravità che aiuta i nuclei a scontrarsi e fondersi; il plasma deve essere confinato in una camera da vuoto senza toccarne le pareti che non potrebbero sopportare il calore; nell’arco di pochi metri si ha un salto di temperatura che va dai cento milioni di gradi del plasma ai circa -200 gradi dei superconduttori necessari per mantenere i campi magnetici che garantiscono il confinamento del plasma. E’ chiaro – sottolinea Dodaro – che cercare di conciliare esigenze così diverse renda difficile il raggiungimento dell’obiettivo finale, ma i passi avanti fatti negli ultimi anni ci permettono di essere ottimisti e affermare che i dati che gli esperimenti forniranno durante l’esercizio di ITER e DTT saranno determinanti per definire con maggiore accuratezza la data in cui l’obiettivo dell’energia da fusione diventerà una realtà . Personalmente, – conclude l’Ing. Dodaro – considerato l’impegno della comunità scientifica internazionale e la sinergia con il mondo industriale, non posso che immaginare come assolutamente trascurabile il rischio di non raggiungere il traguardo’.
(di Luciana Papa)