Roma, 5 feb. (askanews) – Un politico? Un tecnico? Un ibrido? Mentre il premier incaricato Mario Draghi ha iniziato le consultazioni per formare il nuovo governo, anche il comparto istruzione si siede a pieno titolo al tavolo del grande gioco del totoministri. E solo di un gioco, un pourparler, per ora, si tratta, perchè non è affatto chiaro neppure come e quale sarà la casella di partenza: come l’esecutivo nascerà e che partecipazione – e peso sulla scelta dei nomi – avranno i partiti di maggioranza, Lega e M5S su tutti, ancora si ignora. Ma nei vertici, nei corridoi dei palazzi e nelle chat, i posizionamenti, le cordate e sicuro anche i “promoveatur” già sono partiti: chi arriverà al traguardo? Spesso, negli ultimi anni, le voci iniziali sono state poi smentite; molti anche qui, come da antica romana tradizione, sono entrati papa e usciti cardinale.
DUE MINISTERI? – Tutto ruota, anzitutto, intorno alla struttura: confermare i due ministeri divisi, Istruzione da un lato, Università e Ricerca dall’altro, o tornare ad un’unico Miur? La sensazione è che il dicastero dovrebbe rimanere spacchettato: era stata infatti una precisa indicazione del presidente Mattarella dedicare nel Conte II un’attenzione particolare alla ricerca, con un suo ministro insieme all’università, per sviluppare un settore strategico anche a livello internazionale. I due ministeri dovrebbero dunque rimanere: e avere due caselle da assegnare potrebbe anche aiutare Draghi nelle trattative con i partiti nel puzzle delle nomine.
I NOMI IN BALLO – Sui nomi il valzer delle chiacchere è partito. Partiamo dall’Istruzione, settore chiave (ma spinoso), per le implicazioni sulla gestione delle scuole nella pandemia. Il posto, che richiede una forte connotazione politica, storicamente è affare della sinistra. La 5Stelle Lucia Azzolina si è battuta in trincea per tenere gli istituti il più aperti possibile, ma lascerà Viale Trastevere. Ora la poltrona sembra destinata a finire in orbita Pd: tramite un politico puro (potrebbe fare il salto la 33enne Anna Ascani, vice presidente Pd, finora viceministra all’Istruzione); o un tecnico-politico (e qui gira il nome – ma qualcuno dice che si sarebbe autoaccreditato: atteggiamenti aborriti da Draghi – di Patrizio Bianchi, 68 anni, docente di Economia e Politica Industriale all’Università di Ferrara, dove è stato Rettore dal 2004 al 2010, già coordinatore del comitato di esperti voluto da Azzolina per far ripartire la scuola durante il lockdown, anche lui vicino al Pd: formatosi alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna con Romano Prodi, è stato assessore alla Scuola, Università e Lavoro in Emilia-Romagna con Bonaccini). Ma se entrasse nel governo anche la Lega gli equilibri cambierebbero (nel Conte I il posto e l’argomento “nazional popolare” piaceva al partito di Salvini, che lì aveva piazzato Marco Bussetti).
Per Università e Ricerca la missione sarà rilanciare il settore tramite i fondi dedicati del Recovery Fund. Potrebbe essere riconfermato l’ex rettore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II Gaetano Manfredi, 57 anni, anche lui tecnico puro quindi (benchè anche lui vicino al Pd), che in questi mesi ha cercato di costruirsi contatti e credibilità anche a livello Europeo. Manfredi non rifiuterebbe anche l’incarico per un ministero unico. Più complicata la strada che porterebbe ad Antonella Polimeni: 58 anni, la neo rettrice dell’Università La Sapienza di Roma dovrebbe lasciare il suo incarico (previsto fino al 2026) a tre mesi dalla nomina. Da medico chirurgo, è data in corsa anche per il ministero della Salute al posto di Speranza (difficile). Attenzione però anche qui alle voci su Patrizio Bianchi: il suo curriculum e le sue esperienze su programmazione ed attuazione di politiche per educazione, ricerca, innovazione e sviluppo, con la gestione di progetti per istituzioni europee ed internazionali, potrebbe lanciarlo a Viale Trastevere al posto di Manfredi.
I DOSSIER APERTI – La prassi si rifà alla continuità, ma certo è che i nuovi ministri, o il ministro, troveranno sulla scrivania alcuni dossier da affontare nei primi giorni di lavoro. Per l’istruzione l’urgenza si chiama esame di Maturità. Azzolina stava per firmare l’ordinanza con le modalità di svolgimento, poi lo stop dettato dalla crisi di governo: nella sua versione l’esame sarebbe stato uguale al 2020, con la sola reintroduzione dell’ammissione. Prospettiva che il nuovo titolare del dicastero dovrà ora condividere (e il Pd aveva chiesto che venisse reinserito almeno uno scritto) e trasmettere presto alle scuole.Inoltre c’è la questione concorso straordinario dei docenti: il 15 febbraio si dovrebbe ripartire con le 4 giornate mancanti, per poi passare a quello ordinario.
Anche per l’Università e la Ricerca ci sono diversi argomenti cui mettere presto mano: a partire da una serie di nomine (in particolare il rinnovo delle cariche del CNR), proseguendo con il progetto (targato Manfredi) sulle lauree abilitanti per le professioni (il cui ddl aspetta in Parlamento), la riforma del sistema Afam e poi la partita legata al Recovery Fund e alle riforme richieste (dottorati industriali, orientamento per le lauree STEM dalle scuole medie e, per la Ricerca, incentivi alle partnership pubblico-privato). Andrà avanti da sola invece la gestione di lezioni e esami negli atenei in primavera e estate: per il secondo semestre, da metà febbraio, come già previsto le matricole torneranno in presenza e i corsi successivi almeno al 50%.
LA VISIONE DI DRAGHI – Nel post pandemia non solo protezione dell’ambiente e digitalizzazione: c’è un altro settore “essenziale per la crescita, dove la visione di lungo periodo deve sposarsi con l’azione immediata: l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani. Questo è stato sempre vero ma la situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore”. Così parlava Mario Draghi. Era l’agosto 2020 e il professore interveniva al Meeting di Rimini.
“La partecipazione alla società del futuro – avvisava l’ex presidente della Bce – richiederà ai giovani di oggi ancor più grandi capacità di discernimento e di adattamento. Se guardiamo alle culture e alle nazioni che meglio hanno gestito l’incertezza e la necessità del cambiamento, hanno tutte assegnato all’educazione il ruolo fondamentale nel preparare i giovani a gestire il cambiamento e l’incertezza nei loro percorsi di vita, con saggezza e indipendenza di giudizio”.
“Ma c’è anche una ragione morale che deve spingerci a questa scelta e a farlo bene: il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre.Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”, concludeva Draghi.
Un chiaro monito per chiunque, nei prossimi giorni, prenderà la poltrona di Viale Trastevere.
(di Pietro Savarese) Sav/int5