Milano, 15 mag. (askanews) – No a vasche di laminazione “enormi” che rappresentano dei “mostri dal punto di vista paesaggistico e per il grande impatto ambientale provocato al territorio”. Sì, invece, a una serie di “piccoli interventi specifici distribuiti capillarmente sul territorio”. Luciano Masciocco, professore di Geologia Ambientale all’Università di Torino e coordinatore dell’area tematica di Sigea (Società Italiana di Geologia Ambientale), è uno dei massimi esperti italiani in materia di rischio idrogeologico. E spiega ad askanews qual è la strada da percorrere per risolvere in modo strutturale il problema delle esondazioni di fiumi, torrenti e altri bacini idrici in caso di forti ondate di maltempo. Un ragionamento, il suo, generale ma che può essere applicato anche al caso di Milano, città che, in caso di forti temporali, è costretta a fare i conti con le esondazioni del Seveso che puntualmente crea forti disagi soprattutto nei quartieri del Nord.
“Milano è la seconda provincia più densamente popolata d’Italia dopo quella di Napoli, ma il territorio è per due terzi cementificato. Il corso del Seveso, prima di entrare in città, sparisce sottoterra. E questo crea forti problemi dal punto di vista del drenaggio delle acque. I corsi d’acqua hanno bisogno del loro spazio che negli anni scorsi è stato occupato dal cemento. Per risolvere questo problema si ricorre in genere a grossi canali scolmatori: opere di questo genere sono state realizzate a Verona per indirizzare le acque in eccesso dell’Adige nel Lago di Garda, e a Pisa dove le acque dell’Arno sono indirizzate nel Mar Tirreno. Ipotesi che a Milano è da escludere per l’assenza di un grosso bacino idrogeografico”.
Ma la soluzione scelta per il Seveso – realizzare due grossi bacini artificiali a Nord del capoluogo con le vasche di laminazione attualmente in costruzione nei territorio comunali di Bresso e Senago – a Masciocco non piace: “Sono contrarissimo alle vasche di laminazione enormi. Bisogna cercare di trattenere l’acqua delle piogge e questo è un problema va affrontato a monte, non a valle. E non in uno o due punti, ma in maniera capillare il territorio”. Il che significa che il problema Seveso non va affrontato costruendo due enormi vasche di laminazione ma con “più interventi capillari”. Tradotto in pratica, “ogni comune si dovrebbe attrezzare per trattenere l’acqua in eccesso sul proprio territorio” con soluzioni diverse a seconda dei diversi territori. “I comuni dell’area collinare della Brianza potrebbero pensare a piccole dighe di contenimemento. In pianura vanno anche bene tante piccole vasche di laminazione e di certo ciascun comune dovrebbe offrire il proprio contributo per rendere normale o quanto meno accettabile la portata dei fiumi che attraversano il territorio in caso di forti temporali”. Insomma, ribadisce “non bisogna concentrarsi soltanto su grosse vasche di laminazione. Gli interventi devono essere distribuiti capillarmente sul territorio, partendo da monte con dighe e con piccole vasche di laminazione a valle. I comuni dovrebbero poi effettuare regolarmente il drenaggio delle acque e altri interventi periodici di manutenzione ordinaria”.
Tanti interventi in capo ai vari comuni ma sotto il coordinamento di una regia unica. “Quando si va a combattere in guerra, servono un generale e 8 mila soldati. Invece in Italia abbiamo 8 mila generali, ossia i comuni. Ma è evidente che non si può lasciare ai singoli comuni la responsabilità della gestione idrogeologica del territorio. Perchè il singolo comune magari fa scelte che proteggono il proprio territorio ma provocano danni più a valle. Si deve ragionare a livello di bacino idrogeologico. Sono state istituite le cosiddette autorità di bacino ma dopo 30 anni hanno dimostrato di non servire a nulla. Il bacino idrogeologico di Seveso e Lambro occupa una superfice di 600 km quadrati, un’area che andrebbe gestita in modo unitario. Invece ognuno fa ciò che vuole. E i risultati si vedono”.