Roma, 19 set. (askanews) – Nella roadmap europea tracciata per arrivare a realizzare intorno al 2050 un reattore a fusione per produrre energia illimitata, pulita, a basso costo, che non danneggia l’ambiente, il progetto italiano guidato dall’Enea del Divertor Tokamak Test ha un ruolo cruciale. A sottolinearlo Ambrogio Fasoli, presidente di EUROfusion, il Consorzio europeo per lo sviluppo dell’energia da fusione, nel suo intervento all’evento organizzato dall’Enea per la firma dell’intesa con la Banca europea per gli investimenti per il finanziamento da 250 milioni di euro del progetto italiano ad alta tecnologia Divertor Tokamak Test guidato dall’Enea, che sarà sviluppato a Frascati e che nasce per rispondere ad alcune tra le criticità scientifiche e tecnologiche nella realizzazione della fusione nucleare e, in particolare, al problema di come controllare l’enorme quantità di calore che viene generata.
Nella roadmap europea – ha detto fasoli – sono quattro gli elementi cardine: ITER (il reattore sperimentale in costruzione in Francia), la sorgente di neutroni per lo sviluppo e la qualifica dei materiali per il reattore, il reattore dimostrativo DEMO, che dimostrerà che la fusione può essere sviluppata a livello commerciale e, infine, un forte programma di ricerca e innovazione per supportare queste attività.
E una delle missioni in cui è articolata la roadmap verso il reattore a fusione, ha spiegato Fasoli, “è quella dedicata al problema dell’interfaccia tra il centro del plasma, ovvero la parte interna della nostra piccola stella, e le pareti materiali che devono contenerla. In particolare, lo sviluppo e la dimostrazione di configurazioni magnetiche e di componenti interni al reattore in grado di smaltire gli elevatissimi carichi termici previsti. È il famoso ‘divertore’, che regola questa evacuazione di calore e particelle, una sorta di ‘scappamento’ per il nostro reattore”.
“Si tratta – ha sottolineato Fasoli – di un problema scientifico e tecnologico formidabile”. Se non è più così difficile scaldare il plasma a temperature di un centinaio di milioni di gradi o controllarne le instabilità in tempo reale o “creare un campo magnetico centinaia di migliaia di volte più intenso di quello della terra su volumi di una grande cattedrale”, è invece “ancora molto problematico far fronte a carichi termici che il nostro piccolo sole crea alla bottiglia che lo contiene. Nella fusione – ha chiarito – dobbiamo gestire situazioni nelle quali si hanno decine di milioni di watt per metro quadrato, vuoi istantaneamente (microsecondi) vuoi su tempi lunghi (minuti). Questi carichi sono più elevati di quelli ai quali sono sottoposti i reattori a fissione, i razzi al loro decollo o gli space shuttle al rientro nell’atmosfera”.
Ed è proprio qui che entra in gioco il progetto DTT. “Una volta identificata la configurazione più promettente, sarà necessario testarne le proprietà in condizioni prossime a quelle di DEMO, cioè di un vero reattore. Questo è esattamente il ruolo di DTT nella roadmap, un ruolo cardine, perché dalla scelta finale del divertore potrà dipendere il successo (o il fallimento) del nostro concetto di reattore”. Una volta conclusi gli studi preparatori, EUROfusion parteciperà in prima linea al progetto DTT e contribuirà al finanziamento del divertore e alla successiva sperimentazione.
Nella ricerca sulla fusione l’Italia – che come volume di attività in EUROfusion è seconda solo alla Germania – con il progetto NBTF(Neutral Beam Test Facility) a Padova e ancor più con DTT a Frascati, con la sua comunità di scienziati e di ingegneri, ha concluso Fasoli, “ha gli strumenti per mettere il nostro Paese al centro dello scenario, quale sede di infrastrutture strategiche per la ricerca e sviluppo sulla fusione”.