Fiuggi, 25 nov. (askanews) – “L’unità è la nostra forza”. Antonio Tajani lancia il suo messaggio in apertura del G7 Esteri di Anagni e Fiuggi, l’ultimo a presidenza italiana. Il ministro parla di Ucraina, ma non solo. Lo si capisce qualche ora più tardi, in conferenza stampa. L’Italia spinge per una posizione unica dei Sette Grandi sulla Corte penale internazionale e la sua decisione di spiccare un mandato d’arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa, Yoav Gallant. La presidenza italiana, molto prudente, vorrebbe trovare una sintesi, da mettere nero su bianco nel comunicato finale. Un obiettivo non facile, per il quale gli sherpa stanno ancora lavorando. Bisogna limare le spigolature, alcune emerse anche in mattinata.
Gli Stati Uniti non hanno firmato lo Statuto di Roma e non riconoscono l’autorità della Corte. Il Regno unito, per bocca del ministro David Lammy, presente a Fiuggi, ha confermato che Londra darà seguito a un “giusto processo” se Netanyahu dovesse visitare il Paese. La Francia, già nei giorni scorsi, ha preferito non sbilanciarsi, limitandosi a “prendere atto della decisione”. Mentre la Germania ha espresso oggi la sua opinione, con la ministra Annalena Baerbock: “Il governo tedesco rispetta la legge perché nessuno è al di sopra della legge. Si applica l’indipendenza della magistratura, che in questo caso è giunta alla conclusione che ci sono prove sufficienti per compiere questo passo ora”, ha commentato, chiarendo di non voler interferire nei procedimenti in corso.
Delle difficoltà è consapevole lo stesso Tajani. “Ho detto che bisogna che ci sia una posizione unica sulla decisione della Corte penale internazionale”, ha spiegato. “Abbiamo parlato, vediamo se si potrà avere nel comunicato finale una parte dedicata a questo. Stiamo lavorando per un accordo, credo che sia giusto, e ci stanno lavorando i direttori politici per avere un testo che permetta una posizione unica”, ha aggiunto il ministro, evidenziando che non si tratta solo di “una questione di giustizia”: “il problema è anche politico”.
Più “fiducioso”, persino “ottimista”, si è detto Tajani riguardo a un possibile accordo di cessate il fuoco tra Israele e il movimento sciita libanese Hezbollah. “Siamo forse vicini a un cessate il fuoco, speriamo che sia vero, e che ci sia qualche passo avanti anche a Gaza, anche se è un po’ più complicato”, ha precisato, aprendo la seconda sessione dei lavori con la partecipazione del Quintetto arabo (Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita a Qatar). Domani potrebbero esserci novità sostanziali, quando il gabinetto di sicurezza israeliano si riunirà per votare l’eventuale fine delle ostilità, sulla base della proposta avanzata dall’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. “Prima di concludere bisogna avere tutti gli accordi definitivi”, ha avvertito comunque Tajani. Il rischio è che qualcuno, fino all’ultimo momento, possa mettersi di traverso. Il pensiero corre a Teheran. “L’Iran mi pare che sia un po’ contrario o quantomeno voglia allungare i tempi; vediamo”, ha detto il ministro. Timori che fanno il paio con le ultime esternazioni della Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, secondo cui il mandato d’arresto per Netanyahu “non basta”: dovrebbe essere emessa una “sentenza di esecuzione”.
La bozza di accordo si basa sulla risoluzione Onu 1701 che ha posto fine alla guerra tra Libano e Israele del 2006 e include il ritiro dei miliziani libanesi Hezbollah dall’area di confine con Israele. La proposta prevede diverse fasi: innanzitutto la cessazione delle ostilità e il ritiro di Hezbollah, quindi il ritiro delle forze israeliane dal sud del Libano. Infine, il passaggio ai negoziati sul confine terrestre, la Blue Line. Un alto funzionario americano ha detto ad Haaretz che l’intesa includerà anche un meccanismo internazionale, guidato dagli Stati Uniti, che monitori le attività di Hezbollah, in modo da impedire che torni a dispiegarsi a sud del fiume Litani o di rafforzarsi a nord. Secondo la fonte, questo meccanismo non sarebbe comunque ancora pronto. Nel corso dei negoziati, inoltre, Israele avrebbe chiesto di avere una lettera di garanzia da parte di Washington a sostegno della libertà d’azione israeliana sul suolo libanese, in caso di nuovi tentativi di Hezbollah di rafforzarsi. Il documento, secondo il quotidiano israeliano, non rappresenterebbe una parte ufficiale dell’accordo, ma avrebbe funzione di appendice.
Di certo, l’Italia resta favorevole a “ogni iniziativa” che possa portare alla pace ed ha confermato la sua disponibilità “a fare la sua parte, anche per il grande impegno profuso in questi anni”. “Ho dato la piena disponibilità del nostro Paese a essere protagonista, a sorvegliare l’applicazione dell’accordo insieme a Stati Uniti e altri. Vogliamo giocare un ruolo”, ha insistito il titolare della Farnesina. “L’ho detto al ministro libanese”, incontrato questa mattina, “vedremo”: “siamo pronti a giocare un ruolo non secondario, come nei Balcani”.
Intanto, però, in attesa di concludere qualsiasi accordo, la situazione sul terreno continua ad essere drammatica. Israele ha effettuato oggi una serie di attacchi aerei in tutto il Libano contro 25 centri di comando e altri siti appartenenti al consiglio esecutivo di Hezbollah a Nabatieh, a Baalbek e alla periferia di Beirut. Secondo le Forze di difesa israeliane, gli attacchi hanno danneggiato la capacità del movimento di dirigere e assistere i militanti sul campo, nonché il comando, il controllo e la raccolta di informazioni di Hezbollah.
di Corrado Accaputo