A livello europeo, infatti, nell’ultima campagna sono stati persi 11.000 ettari di patata coltivata a seme. Il settore sementiero trova nell’industria di trasformazione un forte concorrente: i contratti fortemente remunerativi sottoscritti dall’industria spingono molti produttori verso quel tipo di produzione, sottraendo spazio al tubero seme. Il fattore climatico, caratterizzato da un’accentuata piovosità, ha influito negativamente sia a livello di rendimenti sia in termini sanitari, causando il declassamento o lo scarto di molto tubero seme. Anche l’Italia ha dunque subito le ripercussioni di questa carenza che, soprattutto nelle coltivazioni più tardive, si sono tradotte in semine irregolari, obbligando i produttori a impiegare varietà di patata disponibili al momento e alla semina di tuberi di grosso calibro (anche oltre i 55 mm), generalmente meno utilizzati dagli agricoltori professionali.
Le coltivazioni primaticce del sud Italia hanno avuto meno difficoltà nell’approvvigionamento di tubero seme, in particolare nelle semine più precoci, ma il clima siccitoso e l’assenza di precipitazioni che hanno investito la Sicilia hanno impattato fortemente sullo sviluppo fenologico della pianta e, quindi, nell’allegagione, determinando rese medie non superiori ai 260 – 280 quintali a ettaro. Le inferiori rese sono state tuttavia compensate dalle buone quotazioni, superiori alla media, che si sono mantenute costanti anche in Puglia, Sardegna e Campania. Spostandoci al centro – nord, si sono registrate buone performance nelle aree costiere, sia tirrenica (Fiumicino e Toscana) sia adriatica (lidi ferraresi) dove, nello specifico, sono state raggiunte rese medie di circa 600 – 650 quintali a ettaro. Il distretto di Bologna ha segnato una buona ripresa dopo l’alluvione che aveva colpito l’area lo scorso anno. L’andamento climatico ha influito sull’areale dell’Alto Viterbese: a causa della temperatura torrida che ha colpito la zona prima della raccolta, le rese sono state decisamente nella media, ma inferiori alle stime iniziali. Anche l’altopiano della Sila ha sofferto il clima secco e siccitoso: ciò porta, nelle prime stime prudenziali, a ipotizzare che i raccolti avranno rese produttive corrette ma certamente non straordinarie.
Il nord – est ha dovuto fronteggiare infine piogge abbondanti seguite da temperature molto alte, che hanno compromesso una corretta maturazione vegetativa e, quindi, una buona tuberificazione, portando le piante a produrre più tuberi ma di piccola dimensione e, dunque, di difficile collocazione sul mercato del fresco.
L’”isola felice” rimane l’areale del Fucino, che con la sua produzione abbondante riesce parzialmente a sopperire alle rese delle altre zone, contribuendo ad alimentare la riserva di prodotto nazionale.