Milano, 3 nov. (askanews) – Remedy ha la struttura e la cura di un club privato britannico. Le sue sale con il soppalco, il suo lungo bancone in legno, le sue comode poltrone di design, le sue lampade ricercate, la boiserie e le sue morbide tonalità pastello tra il grigio e il verde, richiamano l’atmosfera ovattata e rilassata degli alberghi internazionali di lusso. Non ostenta sfarzo ma induce su una certa signorilità pensata per blandire i suoi clienti che raggiungono questa insegna all’angolo tra viale Majno e via Morelli, in zona Porta Venezia, attratti da una carta con quasi 6.500 vini e più di duemila distillati. Mancava a Milano Remedy, mancava ai professionisti del settore enogastronomico, agli appassionati e ai turisti gourmet che in questa città, tutti insieme, compongono una fascia alto spendente e fedele. Qui trovano non solo la materia prima, in questo caso le bottiglie, ma anche dei gestori competenti ed entusiasti di poter offrire qualità, profondità di annate, referenze particolari ed etichette rare. E cioè di fare con soddisfazione il proprio lavoro, sempre con grande professionalità ma anche con “normalità”, lasciando cioè a chi è alle prime armi la possibilità di passare una serata senza senso di inadeguatezza ma, casomai, con la possibilità di dare sfogo alla propria curiosità. Questo senza rinunciare ad una certa esclusività, perché sei pur sempre ne “il tempio del bere bene”, come recita il claim del locale, e come testimonia la cantina custodita in un affascinante caveau sotto il locale (visitabile su richiesta) dove sono raccolte qualcosa come 18mila bottiglie.
I fondatori sono tre amici che si sono incrociati in Puglia: i tarantini Michele Bernardi (famiglia di celebri pasticceri e titolare di un’enoteca a Grottaglie) e Amedeo Pagano (titolare con la famiglia della Masseria Bagnara a Lizzano), e il produttore vinicolo trentino e collezionista di vini Alessandro Michelon. Grandi amanti degli alcolici, hanno dato vita all’avventura milanese mettendo insieme le loro collezioni di bottiglie provenienti da tutto il mondo, e le loro risorse economiche e di tempo. “Abbiamo scelto Milano perché pensiamo possa essere l’unica città in grado sorreggere un format come questo, dove ad essere protagonisti sono il vino e gli spirit senza una vera e propria cucina, perché il nostro ‘food’, seppur ricercato e di alta qualità, è un accompagnamento sempre a crudo” racconta Bernardi ad askanews, aggiungendo che “credo si debba un po’ scardinare l’idea che un grande vino debba essere per forza accompagnato da un grande cibo, come succede da anni a Londra o nei ‘bar à vin’ in Borgogna dove all’aperitivo si vede servire ‘La Tache’ di Romanee Conti insieme con taglieri di salumi e formaggi”. Qui i “bites” sono in realtà ben più raffinati: crudi di mare, tartare, carpacci, ostriche e gamberi viola di Gallipoli, oltre a insaccati artigianali come la soppressata della Valle d’Itria e il capocollo di Martina Franca, e diversi, grandi, formaggi.
“La carta si sviluppa in modo orizzontale più che verticale, perché di ripetizioni di annata ce ne sono davvero poche” prosegue Amedeo, spiegando che la selezione di vini verte principalmente su Italia e Francia. Per quanto riguarda il nostro Paese, è più sbilanciata sui rossi che sui bianchi, mentre in Francia, dove a farla da padrona è la Borgogna, vitigni bianchi e rossi si equivalgono. “La carta è pensata per chi ama il vino e abbiamo quindi anche tante referenze cosiddette ‘naturali’, con grandi bottiglie dello Jura, della Loira e della Alsazia (da La Sansonniere a Domaine Tissot fino a Maison Overnoy), perché una selezione di questa importanza deve poter rispondere alle richieste di qualunque amante del vino, da chi vuole bere il classico Dom Perignon a chi preferisce il micro produttore di Champagne, da chi chiede un ‘Cervaro della Sala’ a chi vuole invece Radikon, perché hanno tutti una loro ragione d’essere” sottolinea Amedeo, spiegando che “i prezzi partono più o meno dalla quarantina di euro: cerchiamo di applicare un ricarico standard a tutte le bottiglie, incluse le speculative, e poi ci sono quelle che in carta sono contrassegnate dal ‘lucchetto’ perché sono limitate ad un massimo di una bottiglia per tavolo perché hanno un prezzo molto più basso rispetto al loro valore di mercato, un po’ come fa il ristorante ‘Le Soufflot’ a Meursault in Borgogna”. “Vini e distillati sono due famiglie separate con parenti in comune” continua Amedeo, precisando che “che qui i distillati, per essere esaltati e apprezzati al meglio, vengono serviti lisci e non miscelati”. Ecco allora un tripudio di Rum e whisky ma anche una grandissima selezione di Armagnac, Bas-Armagnac, Cognac e Calvados, senza dimenticare le Grappe (bianche e barricate), qualche Tequila e Mezcal e liquori come La Chartreuse.
L’elegante ‘Cigar room’ che fa bella mostra di se nel locale è stata invece un desiderio di Michele Bernardi, che con il collega sommelier Amedeo segue la gestione quotidiana di Remedy. “Nasce dalla mia grande passione per i sigari e il tabacco è un piccolo spazio, quattro posti dove potersi concedere un momento di relax” spiega ad askanews, aggiungendo che “oggi è diventata un grande attrattore, anche perché a Milano oltre a qualche albergo di lusso e a pochi ristoranti non esistono locali che offrono questa possibilità”. L’altra grande passione di Michele sono le bollicine: “Ci sono diverse bottiglie nella nostra Cantina di cui vado orgoglioso, come dei Dom Perignon, per esempio un vintage 1985, un 1990 nel suo astuccio verde originale ancora sigillato, e due 1998, uno vintage e l’altro ‘P2’; oppure l’ultima cassa di Salon che è stata presentata e che contiene una magnum 2008, e poi, per rimanere sullo champagne, tanto Jacques Selosse. Ma anche le vecchie annate di Ferrari, a partire dal 1995 con la prima edizione del ‘Trento Doc Bruno Lunelli’ che però non vendo e aspetto di aprire con qualche cliente meritevole”. Già perché come ogni appassionato intenditore, come ogni cultore della materia, ci sono bottiglie speciali, con una loro storia, di cui si fa fatica a disfarsi e che quindi vanno sottratte al commercio per essere date come un’onorificenza, per essere condivise con chi ne è effettivamente degno, il cliente che ne riconosce il valore, che capisce, che apprezza. Perché Michele soffre “quando mi comprano delle bottiglie che ho custodito gelosamente per anni e poi non le apprezzano. Lo confesso, è più forte di me, mi da un grande fastidio”.
Per quanto riguarda gli spirits, Michele punta sui Rum e sul Wisky: “La nostra ampia collezione di Caroni che è una chicca non da poco, perché è difficile trovarne così tanti – rimarca – e poi i vecchi “Foursquare” con le special release che ha fatto Luca Gargano, mentre per lo Scotch l’ultimo Macallan 30 anni, uno ‘sherry cask’ in purezza che è una delizia, ma sono certamente da citare anche le bottiglie di Armagnac degli anni ’40, ’60 e ’70, che qui abbiniamo ai cioccolatini che produciamo nell’azienda artigianale della mia famiglia a Grottaglie”. L’ultima segnalazione riguarda, a sorpresa, il caffè che qui ha una carta di miscele super premium curata dalla torrefazione artigianale Espresso Giada di Pistoia.
Aperto in sordina l’estate scorsa, Remedy non è solo una scommessa sulla qualità ma anche un osservatorio privilegiato sul mondo dei ‘fine wine’ e dei distillati di pregio, e su quanto pesino nei loro consumi, in una città come Milano, da un lato gli appassionati e dall’altro gli amanti dell’esclusività e del lusso.
Foto: Federico Bontempi