Roma, 27 ago. (askanews) – Nelle ultime settimane, la storia di Andrea, un giovane italiano di 27 anni detenuto in Belgio, ha suscitato preoccupazioni crescenti. Arrestato tre mesi fa con l’accusa del furto di alcune collanine, Andrea – si legge sul sito “Voci di dentro” – sta affrontando una situazione ben più complessa di quella legale: è afflitto da gravi problemi psichiatrici e da una dipendenza da sostanze stupefacenti che lo rendono particolarmente vulnerabile. Nonostante la sua condizione, non sta ricevendo le cure adeguate nel carcere di Hasselt, dove è attualmente recluso. In un’ intervista al sito, il padre di Andrea racconta le difficoltà che la sua famiglia sta vivendo, tra la battaglia legale e l’urgente bisogno di garantire a suo figlio un trattamento medico adeguato.
Può raccontarci cosa sta accadendo?
La situazione di Andrea è davvero complicata. È in carcere in Belgio da tre mesi, accusato di furto. Ma il punto non è stabilire se sia colpevole o innocente. Andrea ha seri problemi psichiatrici e di tossicodipendenza, e non sta ricevendo le cure di cui ha bisogno. Da un anno è seguito dal SerD in Italia, stava seguendo una terapia specifica, ma ora, in carcere, è tutto fermo.
Quali sono le difficoltà maggiori che sta affrontando?
Andrea è dipendente dal crack. Ha accumulato molti debiti, sia per la droga che per altre questioni economiche. La nostra famiglia è in difficoltà, io sono un semplice impiegato e non ho abbastanza soldi per far fronte a tutto questo. Penso che Andrea sia andato in Belgio insieme al suo spacciatore, non potendolo più pagare, cercando di sdebitarsi, a quanto pare proprio attraverso dei piccoli furti. A causa dell’effetto combinato di medicinali e stupefacenti, e delle sue condizioni psichiatriche, è plausibile pensare che sia stato raggirato. La realtà è che le cose sono peggiorate rapidamente in quanto è stato accusato di aver rubato delle collanine durante un concerto, nonostante non avessero trovato nulla addosso a lui.
Quando è stato l’ultimo contatto con suo figlio?
Ho deciso di non andarlo a trovare perché temo che un nuovo distacco potrebbe essere insostenibile per lui, al punto da spingerlo a fare qualcosa di irreparabile. Ed è per questo che è da tre mesi che non lo vedo. Ci sono state settimane in cui non ho avuto nemmeno sue notizie se non grazie a due detenuti italiani della sua stessa prigione che hanno preso a cuore la storia di Andrea. Ma fortunatamente la scorsa settimana ho ricevuto due telefonate da mio figlio dal carcere. Una di seguito all’altra. Due telefonate che ammazzerebbero qualsiasi padre di famiglia, in cui mio figlio ha minacciato più volte il suicidio. Non aggiungo altro perché in questi casi non serve aggiungere altro e perché le telefonate dal carcere sono registrate: solo recuperandole e riascoltandole si potrebbe capire per intero il dramma che stiamo vivendo. È così difficile far capire che non è stata messa in carcere una persona “sana” e che non può continuare a restare lì senza cure. Sono un uomo a pezzi.
Come sta vivendo Andrea questa situazione?
Andrea è solo e spaventato. In carcere ci sono altri italiani, come dicevo prima, ma il suo disturbo della personalità gli crea problemi a relazionarsi anche con loro. Io non voglio negare che Andrea possa essere colpevole, ma chiedo che riceva un trattamento umano. Un carcere deve tenere conto dello stato di salute dei detenuti, e questo include avere uno psichiatra che lo segua davvero.
Avete avuto problemi anche con l’assistenza legale?
Sì, e questa è un’altra parte dolorosa della vicenda. Abbiamo procurato un’avvocata ad Andrea, ma secondo noi non è stata all’altezza della situazione. Noi genitori non abbiamo mai ricevuto risposte adeguate da parte sua, nonostante le nostre continue richieste di informazioni. L’11 settembre ci sarà la sentenza, ma ci sono mille incertezze. Ci sentiamo abbandonati e impotenti. E, come se non bastasse, c’è anche la barriera linguistica: non siamo riusciti a trovare un avvocato che parlasse la nostra lingua e, di conseguenza, abbiamo avuto enormi difficoltà a comunicare.
Com’è la situazione legale di Andrea al momento?
Attendiamo la sentenza, il giudice si è preso 40 giorni per il verdetto. Il pubblico ministero ha rifiutato la liberazione su cauzione e ha chiesto 30 mesi di reclusione. Abbiamo un’avvocata in Belgio, come dicevo, ma la situazione è complicata. Lei ha chiesto l’assoluzione perché sostiene che non ci siano prove sufficienti, a partire dal fatto che le presunte collanine rubate non gli sono state trovate addosso, non sono stati visionati i video delle telecamere e i messaggi salvati sul suo cellulare non sono stati resi in fiammingo da traduttori giurati. Comunque, come ho detto, il punto non è se Andrea sia colpevole o innocente. Il vero problema è che nella sua condizione di salute mentale non dovrebbe stare in carcere, soprattutto in un altro paese, lontano dai medici che lo stavano curando.
Cosa ci può dire riguardo all’assistenza sanitaria che Andrea sta ricevendo in carcere?
A mio parere, questa è una questione che richiede molta più attenzione. I farmaci che assume Andrea devono essere aggiornati ogni due settimane, dopo visite in presenza; non si può trattare il suo disturbo come se fosse una semplice influenza. È impensabile che rimanga con la stessa posologia per tre mesi, come sta accadendo attualmente nel carcere di Hasselt. Anzi, trovo paradossale che lo psichiatra del carcere mi abbia contattato direttamente per chiedere quali farmaci somministrargli. Sono stato io a dover contattare i medici qui in Italia per riferire allo psichiatra in Belgio quali medicinali Andrea stesse assumendo, ma non è così che dovrebbe funzionare. Come ho detto, la posologia deve essere stabilita in base a visite ogni due settimane e in presenza, non tramite telefonate con i familiari. È incredibile che abbiano dovuto passare attraverso di me per ottenere informazioni mediche così vitali e che, in tre mesi, la posologia non sia mai stata modificata.
Attualmente com’è la situazione di Andrea?
Quello che chiediamo è che Andrea possa tornare in Italia, dove potrebbe scontare la sua pena seguito dai medici che conoscono la sua storia e i suoi bisogni. Ci siamo rivolti all’ambasciata e, grazie all’intervento della senatrice Ilaria Cucchi, abbiamo avuto contatti con la Farnesina e si sta provando a coinvolgere l’eurodeputata Ilaria Salis. Da parte dell’Ambasciata d’Italia in Belgio due visite in carcere gli sono state fatte, e ci è stato detto che sta bene, ma il prima citato disturbo di personalità di cui soffre mio figlio lo rende capace di far credere ciò che vuole a chiunque; in poche parole, su come stia mio figlio è necessario che lo stabilisca uno psichiatra non, con tutto il rispetto parlando, un qualsiasi funzionario dell’Ambasciata. Negli ultimi giorni c’è stato almeno un piccolo miglioramento: prima aveva smesso di lavarsi e di mangiare. Se sarà condannato, non faremo appello, in modo che, una volta scontato un terzo della pena, possa rientrare in Italia. Tuttavia, settembre è ancora lontano, e nel frattempo potrebbe succedere di tutto.