Tel Aviv, 26 ago. (askanews) – Da un lato ci sono i difficili colloqui per cercare di arrivare a un cessate il fuoco a Gaza, dall’altro ci sono gli attacchi preventivi contro Hezbollah e la conseguente risposta. La pace sembra più che mai lontana in Medio Oriente.
Domenica mattina alle 5 doveva scattare l’attacco massiccio di Hezbollah in rappresaglia per l’uccisione di un comandante di alto rango il mese scorso ma l’intelligence israeliana ha scoperto tutto e 100 caccia sono decollati verso il confine settentrionale, sono state colpite 40 postazioni della milizia filo iraniana.
Secondo fonti dell’Idf sarebbero stati circa seimila i razzi e droni pronti a cadere su Israele. Le milizie sciite hanno risposto lanciando più di 320 razzi e diversi droni carichi di esplosivo: alcuni sono stati intercettati, mentre altri hanno causato danni e feriti, mentre è stato sventato un attacco degli Hezbollah al quartier generale del Mossad.
“La storia non è ancora finita” ha commentato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo l’attacco preventivo.
Sul fronte diplomatico, gli ostacoli più difficili da superare nei colloqui tra le parti in conflitto e i mediatori, sono il controllo del valico di Rafah, chiuso ormai da quasi quattro mesi, e del “corridoio Philadelphia”, 14 chilometri cuscinetto fra la Striscia e l’Egitto dal quale Netanyahu non vuole ritirare il suo esercito e da cui entrano aiuti ma anche armi.
Altra questione sensibile è lo scambio di ostaggi israeliani e detenuti palestinesi. Hamas e Israele al momento hanno rifiutato le proposte di compromesso, ma i colloqui proseguiranno questa settimana e i funzionari americani credono ancora che un accordo sia raggiungibile, nonostante le crescenti tensioni tra Israele e Libano.