Milano, 6 ago. (askanews) – Il settore dell’agroalimentare in Italia è quello che porta più valore aggiunto al Pil, una performance che vale 4,5 volte quella dell’automotive, e si conferma asset strategico per la competitività del Paese. È al 15° posto per produttività, ma l’Italia è tra i primi cinque paesi in Ue per valore generato dal mercato della robotica agricola: ricavi di 1.600 euro per ogni milione generato dall’agricoltura, il doppio del valore europeo. Queste tra le analisi del report “Settore food in Italia. Trend di consumo e modelli di business” curato da Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca Divulgativo di Rome Business School.
Il settore deve tuttavia continuare ad evolversi e adattarsi alle nuove tendenze di consumo: filiera corta, attenzione alle etichette, e cibi naturali, acquistati soprattutto presso i supermercati della catena Coop (30%), Esselunga (25%) e Lidl (20%), secondo dati Forbes e Gambero Rosso rielaborati da Rome Business School (2024). “Stiamo assistendo ad un’evoluzione del settore agroalimentare. Maggiore attenzione nella selezione degli ingredienti, provenienti possibilmente da allevamenti e impianti agricoli locali, controllo dei fattori salutistici dei piatti proposti all’interno dei propri ristoranti e più scelta vegetale sugli scaffali di botteghe e grandi supermercati, sono solo alcuni dei fattori determinanti di quelli che saranno i food trend da tenere d’occhio nel 2024” si legge in una nota.
I consumatori sono sempre più responsabili, ma anche più esigenti, maggiore attenzione è rivolta alla sostenibilità ambientale, quindi a cibi naturali, km 0 e meno processati, per prendersi cura della propria salute e dell’ambiente. Infatti, secondo il Food Trends & Innovation Report dell’istituto di ricerca Censuswide già nel 2022 il 46% delle persone in Europa si confermava interessato a conoscere la provenienza degli alimenti, prediligendo l’acquisto di quelli locali, ed è disposto a spendere di più per una migliore qualità degli ingredienti. Nel caso dell’Italia, il 45% dei consumatori scarta i prodotti con conservanti, il 66% predilige i prodotti bio (Cortilia, 2023).
Della filiera agroalimentare italiana, l’agricoltura e l’industria alimentare e delle bevande ne rappresentano insieme quasi il 39% dell’intero valore. Più nel dettaglio, la fase industriale spiega oltre il 27% del totale e l’agricoltura un ulteriore 11%. Completano il quadro il commercio all’ingrosso e al dettaglio, i quali insieme pesano per ben il 53% del totale. Infine, la ristorazione raggiunge un fatturato di quasi 45 miliardi, equivalenti all’8% del sistema complessivo (dati CREA Politiche e Bioeconomia, settembre 2023).
L’industria alimentare italiana è al terzo posto nella graduatoria dei paesi Ue, dopo Germania e Francia, ma prima della Spagna (The European House – Ambrosetti, giugno 2024). La filiera vale quasi 67 miliardi di euro, risultando in un valore aggiunto sul Pil del 3,8% contro una media europea del 4,1%. Detto ciò, se si considera in maniera estesa con le sue filiere a monte e valle, si generano 335 miliardi di euro di valore aggiunto, abilitando la generazione del 19% del Pil nazionale.
L’agroalimentare italiano mantiene il primato in diversi settori industriali, secondo Teha (giugno 2024). L’Italia domina l’industria pastaria con il 73% del fatturato Ue e ha un ruolo importante nell’industria vitivinicola con il 28%, dietro alla Francia (36%) e davanti alla Spagna (20%). Nei prodotti da forno e biscotti, l’Italia genera il 21% del fatturato europeo, superando Germania (16%), Spagna (13%) e Francia (12%). Tuttavia, la Germania guida nel segmento dolciario con il 27% contro il 16% dell’Italia. Nel settore del caffè, tè e tisane, la Francia è leader con il 29%, seguita dall’Italia (17%) e dalla Germania (14%).
Per quanto riguarda, invece, il livello di produttività, l’Italia si colloca al 15º posto in Europa con una media di 45mila euro per addetto, inferiore alla media Ue-27 di 52mila (-13%). “La correlazione tra dimensione aziendale e produttività è positiva e crescente”, afferma Valerio Mancini. Infatti, se la filiera italiana volesse raggiungere la produttività media della top-10 dei Paesi più produttivi in Ue (da 45mila euro per addetto a 80mila euro per addetto), dovrebbe più che triplicare la dimensione media delle imprese del settore (da 3 milioni di euro medi per azienda a 10,1 milioni).
Il food delivery è un settore che muove un mercato da 1,8 miliardi di euro al mondo e un servizio che raggiunge il 71% della popolazione italiana, in continua crescita: l’e-commerce alimentare tra il 2010 e oggi è aumentato mediamente del 39% all’anno (Teha, 2023). In Italia i player principali sono Just Eat (51% della popolazione), Glovo (41%) e Deliveroo (39%), usati mensilmente dal 21% degli utenti, per la maggior parte persone tra 18 e 34 anni, secondo dati YouGov 2024.
Gli italiani ordinano soprattutto pizza: 7 su 10 utenti affermano di ordinare la pizza tramite delivery. Secondo posto in classifica è il fast food con il 29% (pollo fritto, bibite gasate) e poi gli hamburger (28%). I servizi e le app di food delivery sono molto apprezzati dagli italiani principalmente per la comodità del servizio (61%), la possibilità di scegliere l’orario di consegna (40%) e di pagare online (35%), oltre alla rapidità della consegna (29%) e alla possibilità di monitorare l’ordine (27%). Tuttavia, i principali punti di debolezza includono il cibo che si raffredda durante il tragitto (36%), i ritardi nelle consegne (24%), il costo elevato del servizio di consegna (19%), errori nei prodotti consegnati (16%), l’impatto ambientale degli imballaggi monouso (15%) e la difficoltà nel contattare il corriere (13%).