Roma, 18 lug. (askanews) – Alla fine Giorgia Meloni ha detto “no” a Ursula von der Leyen, confermata oggi presidente della Commissione Ue. I contatti (diretti e tramite emissari) sono andati avanti fino all’ultimo sull’asse Bruxelles-Blenheim Palace, l’antica residenza di Winston Churchill a Woodstock dove la presidente del Consiglio ha partecipato al summit della Comunità politica europea.
A testimoniare la difficoltà del momento il silenzio della premier: rimasta per tutta la giornata britannica ben lontana da microfoni e taccuini a sera, prima di ripartire, pubblica un video registrato in cui spiega la sua decisione. “Siamo rimasti coerenti con la posizione espresa in Consiglio europeo di non condivisione del merito e del metodo”, afferma, facendo però gli auguri di buon lavoro alla rieletta presidente e assicurando che il no di Fratelli d’Italia “non comprometterà la collaborazione che il governo e la Commissione hanno già dimostrato di saper portare avanti su molte materie come quella della migrazione”.
Va detto che per Meloni la strada era stretta: da un lato un via libera al bis della presidente della Commissione – anche con un voto non ufficiale o non dichiarato – avrebbe potuto facilitare la trattativa per il ruolo del prossimo commissario italiano, dall’altro avrebbe scoperto il fianco ai prevedibili attacchi dei ‘Patrioti’, a partire da Matteo Salvini (che infatti oggi grida all'”inciucio”). Il no rende nell’immediato più solido il fronte destro dei Conservatori, ma spinge Meloni più lontano dal perimetro dei ‘governisti’, con il rischio di un peso minore per l’Italia. Messi i pro e i contro sul piatto della bilancia, al momento del voto la premier ha scelto. E i Verdi le hanno dato una mano nel poter rivendicare il voto contrario senza però per questo dare un giudizio nettamente negativo della von der Leyen. Il sì annunciato degli ambientalisti, ha spiegato infatti il capodelegazione di Fdi al parlamento europeo Carlo Fidanza, ha “reso impossibile il nostro sostegno a questa riconferma” pur “avendo apprezzato lo spirito collaborativo che ha caratterizzato il rapporto tra Ursula von der Leyen e il governo italiano”. In realtà la scelta tra Verdi e Conservatori l’aveva in qualche modo già fatta la presidente della Commissione, che aveva preferito intavolare una trattativa prioritariamente con i primi, pur senza mai chiudere la porta a un sostegno dei secondi.
Al di là delle rassicurazioni ufficiali e del fair play istituzionale, è evidente che qualche timore di ‘contraccolpi’ da parte dei vertici comunitari e degli altri leader Meloni ce l’ha. Del resto è l’unica ad aver detto tre “no”, se si conta quello ‘indiretto’ di oggi: ad Antonio Costa, a von der Leyen e a Kaja Kallas. Per questo sulla trattativa per il commissario italiano da Blenheim Palace lancia un messaggio: “Non ho ragione di ritenere – scandisce – che la nostra scelta possa in alcun modo compromettere il ruolo che verrà riconosciuto all’Italia nella commissione. L’Italia è un Paese fondatore, la seconda manifattura, la terza economia e uno dei governi più solidi delle grandi democrazie europee ed è sulla base di questo e solo di questo che si definisce il peso italiano”. Peso ancora da definire, mentre per quanto riguarda la persona pare ormai certa la scelta di Raffaele Fitto.
La premier ha compreso che non avrà una vicepresidenza esecutiva – ma questo era abbastanza chiaro fin dall’inizio, non essendo parte della maggioranza – e punta a deleghe pesanti che dovrebbero vedere la responsabilità del Pnrr e un portafoglio economico. Ma proprio sul commissario la Lega non ha perso un attimo per punzecchiare Palazzo Chigi, sostenendo che chi sarà nominato “dovrà cercare di portare una voce contrastante e antitetica rispetto a quella della presidente della Commissione europea”.
Una prima avvisaglia, forse, del fatto che da oggi si fa anche più ‘caldo’ il fronte politico, in due sensi. Su quello interno la maggioranza è divisa in tre distinte aree in Europa, con Forza Italia in maggioranza e Fdi e Lega in due diverse opposizioni.Cosa che complica i rapporti europei della premier e le fa temere “fibrillazioni” e sgambetti da parte di Salvini. Sul versante comunitario, a Bruxelles e Strasburgo è prevedibile che si apra una competizione a destra, con i ‘Patrioti’ di Marine Le Pen, Viktor Orban e Matteo Salvini che appaiono spinti da un grande slancio e che potrebbero attrarre nuovi arrivi anche dagli stessi conservatori di Ecr.