Roma, 29 apr. (askanews) – All’inizio della campagna vaccinale contro il Covid-19, un gruppo di medici e ricercatori della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta” (FINCB), dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”- IRCCS, dell’Azienda Ospedaliera Senese e della Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, guidati dall’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche di Segrate (Cnr-Itb), ha unito le proprie forze per studiare le basi genetiche delle differenze interindividuali nella risposta anticorpale alla vaccinazione anti-Covid-19 con il vaccino BNT162b2 (Pfizer-Biontech). Lo studio ha mostrato come alcuni soggetti con determinate varianti genetiche nei geni del complesso maggiore di istocompatibilità (proprietà delle cellule di un tessuto di essere riconosciute come proprie da parte dell’organismo e non essere quindi eliminate dal sistema immunitario) coinvolto nei principali meccanismi di difesa del nostro sistema immunitario producevano differenti quantità di anticorpi diretti contro l’antigene del coronavirus Sars-CoV-2. Lo studio è disponibile in open access su Communications Medicine, rivista del prestigioso gruppo editoriale Springer Nature. Il gruppo ha condotto uno studio di associazione genetica a livello di tutto il genoma, valutando la correlazione tra milioni di varianti genetiche germinali e i livelli anticorpali nel siero di soggetti vaccinati contro il Covid-19, a 30 giorni di distanza dalla vaccinazione. Infatti, sin dall’inizio della campagna vaccinale si era osservata una differenza sostanziale nelle quantità di anticorpi prodotti dai soggetti vaccinati. Genetisti e immunologi si sono subito chiesti a cosa fosse dovuta tale differenza. “Come per la maggior parte dei farmaci, così anche per i vaccini ogni individuo può rispondere in maniera più o meno efficace e questo è dovuto, almeno in parte, alla costituzione genetica individuale”, spiega Francesca Colombo, ricercatrice del Cnr-Itb, che ha guidato lo studio, “il nostro studio ha coinvolto 1.351 soggetti, (operatori sanitari vaccinati nei primi mesi del 2021, nei tre centri ospedalieri coinvolti nello studio) ai quali è stato prelevato un campione di sangue per l’estrazione del Dna e di siero per la misurazione degli anticorpi anti-Sars-CoV-2 dopo un mese dalla somministrazione della seconda dose del vaccino Pfizer-Biontech”. “Con le analisi statistiche effettuate abbiamo scoperto che una particolare regione del genoma, sul cromosoma 6, era significativamente associata ai livelli anticorpali”, aggiunge Martina Esposito, primo autore dello studio e assegnista di ricerca presso il Cnr-Itb, “in questa specifica regione genomica sono presenti dei geni che codificano per delle molecole presenti sulla superficie cellulare, coinvolte nei meccanismi di risposta immunitaria. Questi geni sono molto variabili (sono gli stessi che vengono valutati quando si cerca la compatibilità fra donatori di midollo osseo, ad esempio) ed esistono differenti combinazioni. Il nostro studio ha evidenziato che alcune combinazioni erano associate a livelli di anticorpi più alti, mentre altre a livelli più bassi, spiegando quindi dal punto di vista genetico le differenze nella risposta alla vaccinazione osservate tra individui diversi”.