Venezia, 28 apr. (askanews) – Era uno dei padiglioni più attesi alla 60esima Biennale d’arte di Venezia ed effettivamente visitarlo è un’esperienza intensa, difficile, commovente. La Santa Sede, tornata in Biennale dopo alcune edizioni di assenza, ha presentato il progetto “Con i miei occhi”, allestito nel carcere femminile della Giudecca. Otto artisti, tra cui Maurizio Cattelan, Simone Fattal e Claire Fontaine, hanno portato il loro lavoro nella casa di reclusione, progettandolo per e insieme alle detenute. Bruno Racine, direttore di Palazzo Grassi, è uno dei curatori:
“L’idea – ha detto ad askanews – era quella di trovare un luogo che fosse anche un messaggio, quindi vista la tematica della Biennale, intitolata Stranieri ovunque, e vista anche l’insistenza di Papa Francesco sugli emarginati, le persone umili e scartate dalla società, abbiamo pensato che il carcere femminile dell Giudecca, che ha anche una storia molto interessante, potesse essere il posto giusto”.
Il ruolo delle persone del carcere è fondamentale, sono le stesse donne a fare da guida ai visitatori, raccontando le opere e accompagnandoli nel percorso espositivo. Particolarmente toccanti le poesie scritte dalle detenute, che Simone Fattal ha riportato su molte placche pittoriche con anche i nome delle loro autrici, ma è di grande forza pure la scritta blu di Claire Fontaine, che nel cortile principale del carcere dice alle ospiti che “Siamo con voi nella notte”.
“Questo progetto – ha aggiunto Chiara Parisi, altra curatrice del padiglione – non poteva essere realizzato in una casa di detenzione senza che ci fosse una vera collaborazione, già nel momento in cui la direzione accetta l’incredibile invito della Santa Sede di intervenire all’interno. Ma tutto nasce davvero dalla collaborazione tra gli artisti e le signore della casa. In più, nel momento in cui la narrazione passa attraverso le parole di queste donne, significa che la libertà della creazione artistica è possibile”.
Una libertà che è anche al centro del film di Marco Perego con Zoe Saldana, che racconta le ultime ore di detenzione di una donna, ma anche le primissime di un’altra. In un intreccio di dolore e speranza che sembra caratterizzare tutta l’esperienza di “Con i miei occhi”.
Il progetto è certamente ambizioso e rappresenta in modo plastico la vocazione sociale della Santa Sede. La domanda vera, alla fine, sembra essere quanto beneficio tutto questo porterà realmente alle persone del carcere, alle loro storie e alla loro possibilità di vivere in modo diverso lo spazio della detenzione.