Roma, 3 apr. (askanews) – I faggi hanno la capacità di utilizzare in modo efficiente l’acqua a loro disposizione per adattarsi alle diverse condizioni meteorologiche, adottando strategie diversificate a seconda delle condizioni ambientali in cui si trovano. E’ quanto ha messo in luce uno studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche attraverso l’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Cnr-Isafom) di Perugia e l’Istituto per la bioeconomia (Cnr-Ibe) di Sesto Fiorentino (Firenze), condotto in collaborazione con l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e la libera Università di Bolzano, che ha fornito importanti informazioni sulla capacità dei boschi di faggio in Italia di adattarsi e resistere agli effetti del cambiamento climatico.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, ha preso in esame siti sparsi su tutto il territorio nazionale nel corso di un arco temporale che va dal 1965 al 2014, utilizzando indicatori chiave come l’incremento dell’area basimetrica e l’efficienza intrinseca nell’uso dell’acqua per valutare la salute e la risposta di questi boschi ai cambiamenti ambientali.
Dallo studio emerge come le faggete italiane stiano affrontando la crescente suscettibilità alla mortalità a causa di siccità estreme e dell’incremento della temperatura, trends che nel corso degli ultimi decenni sono diventati sempre più evidenti. In particolare, spiega Giovanna Battipaglia, docente di ecologia forestale presso l’Università della Campania “L. Vanvitelli”, “i risultati mettono in luce la diversità delle strategie di utilizzo dell’acqua impiegate dai boschi di faggio per adattarsi alle diverse condizioni meteorologiche, così come la variabilità nella risposta alla siccità tra le diverse popolazioni analizzate lungo un transetto latitudinale della penisola italiana”.
Uno degli esiti più significativi riguarda l’identificazione di foreste che in apparenza risultano essere in buono stato di salute, ma nelle quali i ricercatori hanno rilevato segnali precoci di stress a seguito di eventi climatici estremi, come la siccità del 2003, segnali che indicano una perdita di resilienza in alcuni gruppi: l’effetto più drastico è stato rilevato in Trentino Alto Adige, dove si è osservata anche una maggiore riduzione della crescita degli alberi rispetto ad altri siti più a sud come il Lazio, la Campania e l’area del Matese.
“Nelle regioni meridionali prese in esame non abbiamo osservato una drastica riduzione nella crescita delle piante, come invece abbiamo rilevato in quelle settentrionali – aggiunge Daniela Dalmonech (Cnr-Isafom) – Non solo: sempre al Sud è stato evidenziato un aumento dell’efficienza nell’uso dell’acqua, suggerendo una migliore risposta di adattamento di questi boschi alle condizioni ambientali più estreme”.
Oltre a marcare un importante risultato dal punto di vista scientifico, la scoperta ha implicazioni significative per la gestione forestale e la conservazione della specie, non solo a livello nazionale.