Roma, 13 mar. (askanews) – Le grandi aziende giapponesi hanno annunciato oggi aumenti salariali record per i loro dipendenti, rispondendo a un impulso in questo senso del governo e rompendo con una prassi deflazionistica che ha caratterizzato un trentennio dell’economia nipponica. Si tratta di un passaggio chiave, perché la Banca del Giappone ha dichiarato più volte che attende gli esiti della “shunto” (“battaglia di primavera”), cioè della consueta tornata di trattativi tra parti datoriali e sindacali, per decidere l’eventuale chiusura della politica monetaria ultra-espansiva dei tassi negativi iniziata nel 2016.
La riunione del Consiglio monetario della BoJ che potrebbe decidere questo passaggio storico è convocata per il 18 marzo. Ieri il governatore della BoJ Kazuo Ueda ha segnalato che la banca centrale punta a un “ciclo virtuoso tra salari e prezzi, e dalla riunione di gennaio sono emersi numerosi dati, e ulteriori dati verranno ricevuti questa settimana. Esprimeremo un giudizio globale basato su tali informazioni”.
Ogni primavera, i sindacati e i management delle aziende tengono colloqui, noti come shunto, per fissare i salari mensili prima dell’inizio dell’anno fiscale giapponese ad aprile. Toyota Motor, Hitachi e Panasonic Holdings sono state tra le aziende che oggi hanno annunciato di aver pienamente accolto le richieste dei sindacati di aumentare i salari.
Secondo quanto riferisce Nikkei, Nippon Steel ha dichiarato che aumenterà le retribuzioni mensili della cifra record di 35.000 yen (217 euro), ovvero del 14%, superando il precedente record di 23.000 yen (142,6 euro) del 1979.
Toyota non ha rivelato i dettagli dei suoi aumenti salariali, ma ha affermato di aver soddisfatto pienamente le richieste dei sindacati. L’organo rappresentativo dei lavoratori della Toyota Motor aveva richiesto il pagamento di un bonus pari a 7,6 mesi di stipendio, citando le previsioni di profitto operativo annuale più elevate di tutti i tempi della società pari a 4.500 miliardi di yen (28 miliardi di euro) per l’anno fiscale in corso. Il sindacato ha inoltre proposto richieste specifiche per ciascuna categoria lavorativa, fino ad un aumento salariale mensile di 28.440 yen (176,4 euro).
Hitachi e Toshiba hanno affermato che i loro aumenti salariali sono i più grandi da quando è stato introdotto l’attuale pattern di negoziazione nel 1998.
In Giappone solo il 16% dei lavoratori è iscritto a sindacati, che spesso sono su base aziendale. Tuttavia gli economisti osservano con attenzione i negoziati, anche perché quest’anno sono indicati come una chiave di volta sia dal primo ministro Fumio Kishida, sia dalla BoJ.
A determinare gli aumenti, oltre alla richiesta politica, c’è anche una grave carenza di manodopera. Inoltre lo yen debole ha incrementato i profitti delle aziende orientate all’export, rendendo più facile per i principali datori di lavoro impegnarsi in grandi aumenti salariali.
L’economia giapponese – secondo l’analisi di ieri di Ueda – sta soffrendo soprattutto per una crisi di consumi. Le famiglie, nonostante gli aumenti salariali decisi lo scorso anno, non hanno recuperato l’inflazione innescata dall’instabilità geopolitica e dalla fragilità della catena di forniture di materie prime, a partire dall’energia. Dopo decenni di deflazione, i giapponesi si sono trovati di fronte a un’inflazione che ha eroso il loro potere d’acquisto.
Nelle trattative di quest’anno, i sindacati chiedono un aumento salariale medio del 5,85%, il più grande dal 1993, secondo la Confederazione sindacale giapponese, o Rengo, la più importante confederazione dei lavoratori del paese. Rengo annuncerà venerdì il primo conteggio dei risultati delle trattative. L’anno scorso, le grandi aziende hanno concordato aumenti salariali del 3,58%, il più grande aumento degli ultimi 30 anni. Ma salari reali adeguati all’inflazione sono diminuiti per 22 mesi consecutivi fino a gennaio. La spesa delle famiglie a gennaio è scesa del 6,3% rispetto all’anno precedente, il calo più grande in quasi tre anni.
Tuttavia, questi dati riguardano solo il mondo delle grandi imprese e dei lavoratori regolari. Il Giappone ha uno sterminato tessuto di piccole e medie aziende, che hanno maggiori difficoltà a reperire la liquidità necessaria garantire aumenti salariali di questa portata. E, ormai, una fascia importante di lavoratori, soprattutto più giovani, sfugge al concetto di lavoro dipendente e vive una situazione di maggiore aleatorietà salariale.