La crisi della chianina: in 10 anni -27% allevatori nell’Aretino – askanews.it

La crisi della chianina: in 10 anni -27% allevatori nell’Aretino

Cia Arezzo: compensi equi, maggior tutela Igp e sinergie su territorio
Mar 1, 2024
Milano, 29 feb. (askanews) – In 10 anni gli allevatori di razza chianina nella provincia di Arezzo sono diminuiti del 27%. Contestualmente il numero di capi allevati è sceso del 20%: alla fine dello scorso anno erano 4.616 i bovini allevati, oltre un migliaio in meno rispetto al 2013. E’ una lenta scomparsa quella del gigante bianco dalle campagne dell’Aretino che sta mettendo a rischio un comparto strategico dell’economia locale ma che ha riflessi anche sulla tenuta del territorio. A lanciare l’allarme è la Cia di Arezzo attraverso il suo direttore:

“La situazione che osserviamo è quella di uno scoraggiamento progressivo da parte degli allevatori che è dovuto prevalentemente dalla bassa redditività dell’animale e quindi dell’allevamento – ci ha detto Massimiliano Dindalini, direttore Cia provincia di Arezzo – Ci sono più fattori che probabilmente incidono su questo fenomeno che sono dovuti un po’ alla contingenza dell’aumento dei prezzi di tutte le materie prime e anche dell’energia che sono indispensabili per l’allevamento ma anche a una progressiva riduzione del consumo di carne in generale, che ha un effetto maggiore su quel tipo di allevamento che ha maggiori oneri”.

La riduzione nei consumi di proteine animali negli ultimi anni ha penalizzato le vendite di chianina, e a nulla è servito il calo dei prezzi ai produttori che hanno comunque difficoltà a vendere l’animale. Oltretutto la chianina sconta anche le conseguenze di un’informazione poco trasparente al consumatore: “Non c’è un chiaro disciplinare relativamente a che cosa viene prodotto, soprattutto nei prodotti derivati dalla carne – ha spiegato – ad esempio un hamburger può contenere solamente il 20% di chianina per essere definito un burger di chianina”.

Altra nota dolente sono le vendite nella grande distribuzione che pur essendo un canale importante per il bovino bianco della Val di Chiana ha difficoltà a rispettare i processi di preparazione di queste carni: “La chianina ha necessità di essere preparata prima di essere consumata, deve essere frollata per essere consumata adeguatamente per almeno 20-30 giorni, cosa che la grande distribuzione non riesce a fare – ha spiegato – nonostante questo alcuni marchi continuano a vendere nella gdo per fortuna, e questo consente di assorbire una buona parte del mercato, però il trend è quello di una gdo che è orientata prevalentemente ad altre tipologie di carne più facilmente consumabili”.

Come intervenire dunque per frenare questa emorragia? “Noi riteniamo che le iniziative da intraprendere siano di diverso tipo: la prima è quella di tornare a dare reddito agli allevatori, cioè ridistribuendo nella filiera che va dall’allevamento fino alla commercializzazione, il giusto compenso per l’allevatore. In secondo luogo occorre che il brand Igp, ma comunque la carne chianina, sia tutelata e valorizzata, valorizzata per le sue caratteristiche organolettiche, per le sue caratteristiche nutritive, ma valorizzata anche da un punto di vista commerciale”.

E qui i dati rivelano un altro fenomeno sintomo della vulnerabilità del sistema di tutela della Igp: se in provincia di Arezzo e in generare in tutta la Toscana allevatori e capi allevati sono in calo da un decennio, il totale Italia è in controtendenza, con un più 2% di allevatori e un +11% di animali allevati.

“È possibile oggi, per legge ovviamente, vendere carne chianina definendola solo così senza che faccia parte di una Igp o di un disciplinare solamente perché la razza è tracciata dalla nascita alla morte – ha detto il direttore – Quindi un capo allevato in una qualunque altra regione d’Italia, anche quelle più improbabili come la Sardegna e la Sicilia dove tra l’altro ci sono degli allevamenti di chianina, può vendere carne di razza chianina che è stata alimentata in modi e con tempi di macellazione diversi da quelli previsti dal disciplinare”.

Ecco perchè in parallelo a tutto il resto è necessario legare il futuro di questa razza al suo territorio di elezione, quello che le ha dato il nome: “Per noi è fondamentale che la Chianina abbia un legame stretto con il territorio, perché la rappresenta, perché il vitellone bianco è parte connaturata del nostro paesaggio – ha concluso – Legarlo al turismo, legarlo alla produzione, agli chef, a quelle iniziative di valorizzazione dei prodotti che nel territorio ci sono, è per noi indispensabile affinché la Chianina sia trainata, ma faccia anche da traino a un territorio che ha bisogno di sinergie e non di lacerazioni”