Roma, 15 feb. (askanews) – Una radicale modifica nell’approccio diagnostico: da oggi c’è una nuova guida nel labirinto della diagnosi dei disturbi cognitivi e dell’Alzheimer. Le prime raccomandazioni intersocietarie europee realizzate dagli esperti delle maggiori Società Scientifiche del settore e coordinate da specialisti dell’Università di Genova – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, dell’Università di Ginevra e dell’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, consentiranno di arrivare prima e meglio a dare un nome al problema di chi manifesta i primi segni di un deterioramento cognitivo, riconoscendo se si tratti di Alzheimer, come avviene in un caso su due, o di un’altra forma di demenza. Le raccomandazioni, appena pubblicate sulla prestigiosa rivista The Lancet Neurology, per la prima volta non sono centrate sulla malattia, ma sul paziente e i suoi sintomi. A partire da 11 diverse modalità con cui si presentano i segni di un deterioramento cognitivo, in 4 passi successivi e con test differenti a seconda del profilo del singolo paziente, si potrà d’ora in poi arrivare a individuare la patologia responsabile in tempi più rapidi e con minori sprechi di risorse. Il percorso diagnostico, oltre ad analisi del sangue, test cognitivi, risonanza magnetica o TAC e in alcuni casi elettroencefalogramma che sono previsti nel primo step, cambia a seconda dei pazienti e può includere o meno l’analisi di specifici marcatori nel liquido cerebrospinale, PET o SPECT di differenti tipologie, scintigrafie. In un prossimo futuro, quando a questi esami sarà verosimilmente possibile associare anche l’utilizzo di biomarcatori rilevabili nel sangue, l’iter previsto da queste nuove raccomandazioni potrebbe ridurre fino al 70% gli esami strumentali inutili per diagnosi precise, affidabili e tempestive che allo stesso tempo ridurranno i costi per il Servizio Sanitario.
“Queste raccomandazioni nascono dall’esigenza di avere indicazioni condivise, internazionali e ben documentate ma soprattutto centrate sulla presentazione clinica dei sintomi, sul paziente anziché sulla malattia – spiega Flavio Nobili, co-coordinatore dello studio e Professore di Neurologia all’Università di Genova – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino – .Il paziente con un deficit cognitivo iniziale ha circa il 50% di probabilità di avere l’Alzheimer oppure un’altra delle varie patologie che causano disturbi neurocognitivi. Per districarsi fra le tante cause e arrivare a una diagnosi, oltre ai test cognitivi oggi esistono molti esami strumentali, dalla TAC, alla risonanza magnetica, all’esame del liquor, il liquido cerebrospinale: per ciascuna metodica esistono linee guida e ambiti di applicazione a seconda delle diverse malattie, ma quando il neurologo ha di fronte per la prima volta il paziente non sa ancora di che patologia soffra, perciò è difficile utilizzare linee guida pensate per individuare l’una o l’altra patologia. Ecco perché serviva costruire raccomandazioni basate principalmente ‘sul sintomo’ e non sulla malattia”. Lo studio pubblicato su The Lancet Neurology è il risultato del lavoro di 22 esperti internazionali afferenti alle 11 maggiori Società Scientifiche europee nel campo della neurologia, psicogeriatria, radiologia e medicina nucleare. Nell’arco di circa tre anni, con la supervisione di sei ulteriori esperti dell’argomento riconosciuti a livello internazionale e con il supporto di un rappresentante dell’Associazione dei pazienti e dei loro familiari Alzheimer Europe, sono state condivise e approvate raccomandazioni sui percorsi diagnostici da intraprendere in persone con segni di pre-demenza o demenza iniziale, basate sulla letteratura scientifica e l’esperienza clinica dei professionisti coinvolti.