Roma, 21 dic. (askanews) – Nuovo allarme per il cambiamento climatico: da maggio 2022 a maggio 2023 il Mediterraneo ha subito l’ondata di calore più lunga mai registrata negli ultimi 40 anni con un aumento fino a 4°C delle temperature del mare e picchi superiori a 23°C. La parte più colpita è stata il bacino occidentale. È quanto emerge dal progetto CAREHeat, finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa), al quale partecipano per l’Italia Enea e Cnr (coordinatore), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Environmental Research Letters”.
Le attività di ricerca di CAREHeat sono iniziate con lo studio dell’ondata di calore che ha interessato il Mar Mediterraneo partendo dall’analisi dai dati satellitari che per primi hanno rilevato l’anomalia termica, con valori molto più alti rispetto alla precedente ondata di calore del 2003. Le informazioni satellitari – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – sono state poi integrate con i dati provenienti dalle osservazioni disponibili in situ presso la Stazione Climatica di Lampedusa, che rappresenta l’unico avamposto in Europa in grado di fornire informazioni sulle interazioni fra vegetazione, atmosfera e oceano, sia negli scambi di carbonio che in tutti i processi e scambi di energia che regolano il clima della regione. Inoltre, grazie all’utilizzo di simulazioni modellistiche e sistemi di elaborazione dati all’avanguardia, i ricercatori hanno potuto caratterizzare l’anomalia che ha interessato il periodo.
In particolare, dalle indagini dettagliate sul ruolo dei cosiddetti ‘forzanti atmosferici’- come, ad esempio, il vento nel condizionare l’oceano – è emerso che le anomalie della temperatura superficiale del mare sono strettamente correlate alla prevalenza delle condizioni anticicloniche nell’atmosfera; condizioni che nello stesso periodo hanno causato anche gravi siccità nella regione mediterranea. L’analisi di questi dati indica che il rimescolamento verticale del mare causato dal vento è il principale responsabile del trasporto di calore all’interno delle acque marine e che queste anomalie sotto la superficie sono durate diversi mesi.
Infine, dal confronto fra l’evoluzione dell’evento del 2022/23 con il precedente evento del 2003 sono emersi alcuni aspetti legati al cambiamento climatico della regione: fra questi, ad esempio, le temperature ben al di sopra della media stagionale dagli inizi di maggio nell’area mediterranea e anche nella prima metà di giugno che è stata caratterizzata da situazioni meteorologiche tipiche di fasi più avanzate della stagione estiva.
“I risultati di CAREheat ci mettono davanti agli occhi solo alcuni dei segnali del cambiamento climatico ma dobbiamo essere consapevoli che siamo solo agli inizi di un processo più ampio e che ci troviamo di fronte a segnali di ciò che accadrà in modo sempre più frequente”, commenta Gianmaria Sannino, responsabile della Divisione Enea di Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali.
“In questo contesto, la ricerca è e sarà un elemento chiave per informare e guidare le politiche ambientali future, come d’altronde ha stabilito finalmente la COP28: infatti, saranno i risultati dell’ultima Conference of the Parties di Dubai a guidare l’aggiornamento dei piani d’azione climatica nazionali per il 2025, per un intervento più ambizioso e finanziamenti mirati. Tra i punti salienti della COP28 inoltre è stata sancita per la prima volta la necessità di triplicare la capacità di energia rinnovabile e raddoppiare i miglioramenti nell’efficienza energetica; abbiamo raggiunto un traguardo storico con un fondo di oltre 700 milioni di dollari per sostenere i Paesi più vulnerabili; ci siamo impegnati a ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e abbiamo finalmente adottato un quadro per l’adattamento climatico e per proteggere i nostri ecosistemi naturali fermando la deforestazione entro il 2030. Studi come CareHeat rappresenteranno una risorsa inestimabile per guidare la pianificazione delle strategie di adattamento”, conclude Sannino.
“Alla luce delle conclusioni raggiunte nella recente COP28, i risultati del progetto CAREHeat si fanno ancora più rilevanti divenendo elementi chiave per informare e guidare le politiche ambientali future, con un forte impegno globale contro gli effetti del cambiamento climatico”, sottolinea Ernesto Napolitano del Laboratorio Enea di Modellistica climatica e impatti.
Il progetto CAREHeat mira a sviluppare nuove metodologie per prevedere e identificare le ondate di calore, comprenderne la propagazione e gli impatti su ambiente, biodiversità e attività economiche, come pesca e acquacoltura. Oltre a Enea e Cnr, partecipano al progetto finanziato da Esa nell’ambito delle “azioni bandiera” della Commissione europea, gli istituti di ricerca francesi CLS (Collect Locatisation Satellites) e IFREMER (Institut Français de Recherche pour l’Exploitation de la Mer), le non-profit Mercator Ocean International (Francia) e +ATLANTIC CoLAB (Portogallo).