Roma, 9 nov. (askanews) – Governabilità in cambio di amnistia, pace coi giudici e qualche vaga promessa: questo, in sostanza, il contenuto delle quattro pagine dell’accordo fra il partito Socialista (Psoe) e gli indipendentisti catalani di Junts che permetterà a Pedro Sanchez di rimanere alla Moncloa e al leader di Uniti per la Catalogna Carles Puigdemont (almeno in linea di principio) di tornare in patria, si vedrà con quale veste politica. Il patto è stato firmato oggi in Belgio, visto che Puigdemont non può per ora entrare in Spagna, dove lo attende un mndato di arresto.
Va detto che da entrambe le parti era difficile ottenere di più: di fatto, il documento non manca di sottolineare le “profonde discrepanze” fra le due formazioni riguardo al referendum e alla dichiarazione unilaterale di indipendenza dell’ottobre del 2017, referendum al quale i socialisti sottolineano di non aver accreditato alcuna legittimità. In ogni caso, ora, due mesi dopo le elezioni, può essere formato il nuovo governo in Spagna. Roma, 9 nov. (askanews) – Nella pratica, è un compromesso di minimo che premia forse di più i socialisti: Sanchez incassa quattro anni di governo che si preannunciano non certo facili vista la strategia di continua delegittimazione della destra, iniziata subito dopo le elezioni. Junts, da parte sua, avrà il premio politico di una legge di amnistia e quello economico di una serie di trasferimenti di competenze (peraltro già accordati da Sanchez con gli altri indipendentisti di Erc) e revisioni della legge di finanziamento regionale.
La legge di amnistia peraltro dovrà essere discussa in Parlamento. I contenuti non sono decisi dal patto, ma dovranno essere concordati tra le forze politiche: di qui che non se ne conosca oggi alcun dettaglio se non che dovrà essere applicata a “tutte le persone vincolate” con i referendum del 2014 sullo Statuto di Autonomia – poi bocciato dalla Corte Costituzionale – e di quello di indipendenza del 2017 – il che sembra sufficiente a salvare quanto meno i responsabili politici dai reati più gravi.
Il resto è più buona volontà che fatti: il documento comprende l’impegno ad evitare il “lawfare”, ovvero l’uso della magistratura come arma politica, ma questo è qualcosa che non dipende certo dal governo – tanto meno con una destra e l’ala conservatrice dei giudici già sul piede di guerra e pronti a ricorrere contro qualsiasi provvedimento legislativo.
Quanto al tavolo di dialogo, esiste da tempo ma non ha prodotto – prevedibilmente – alcun risultato: la novità è che data la comprovata sfiducia fra le parti viene inserito un meccanismo di verifica internazionale, quanto mai vago; sul tavolo, invece, rimangono da parte socialista l’impegno a ritornare sullo Statuto del 2014; da parte di Junts, una richiesta di referendum consultivo che dovrà seguire lo stesso iter parlamentare di quello cercato ai tempi di Zapatero dal governatore basco Ibarretxe (bocciato senza appello).
In sostanza, niente più iniziative unilaterali – almeno per i prossimi quatto anni – salvo che l’offensiva politico-giudiziaria della destra non faccia saltare tutto: il Partido Popular parla già di “dittatura” socialista e di “umiliazione”, e il dibattito di investitura si preannuncia rovente.
Difficile come detto fare di più viste le circostanze: Junts potrà quanto meno esibire l’amnistia come successo politico, comunque vada la sua applicazione che resta tutta da vedere, e mantiene comunque la chiave di una governabilità numericamente stabile; l’alternativa di un ritorno alle urne costituiva un rischio troppo grande – e non sarebbe piaciuta a gran parte della sua base.
Il Psoe da parte sua si garantisce un orizzonte di legislatura, concede un’amnistia di cui non sarà responsabile per quanto riguarda la sua traduzione in realtà effettiva, e prende le distanze dal referendum di indipendenza che considera illegale: insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte.
Il vero successo per Sanchez sarebbe ottenere finalmente il rinnovo della cupola della magistratura, in massima parte conservatrice, bloccato da cinque anni per le manovre del Pp, che non vuole perdere il controllo di questa leva del potere statale. Un ricambio al vertice permetterebbe di avviare finalmente un processo di riforma di un’amministrazione statale che in alcune componenti (magistratura, ma anche forze armate e in ultima analisi la stessa Corona, la cui costituzionalizzazione è sempre stata problematica) non si è mai allontanata troppo dal franchismo.
(di Maurizio Ginocchi)