Roma, 19 set. (askanews) – L’Azerbagian ha lanciato un intervento armato in Nagorno Karabakh, con il dichiarato obiettivo di “ripristinare l’ordine costituzionale”, formula che sembra sottendere il recupero dell’intero controllo della regione che l’Onu riconosce come territorio azerbaigiano ma che è abitata essenzialmente da armeni. Baku ha annunciato l’avvio di una “operazione antiterrorismo” dopo diverse esplosioni in cui sono rimasti uccisi due civili e 4 agenti di polizia. Per gli indipendentisti filo-armeni della regione, che riferiscono di attacchi con missili e artiglieria pesante, si tratta di una violazione del “regime di cessate il fuoco lungo l’intera linea di contatto”.
L’Armenia da parte sua denuncia un’aggressione contro la popolazione locale, mentre la Russia, tradizionale alleato di Erevan, si limita ad un appello a far tacere le armi. Tutti tasselli di un complesso ed esplosivo mosaico che il Caucaso meridionale ha ereditato dalle alchimie etniche (e dei relativi confini, all’epoca amministrativi) operate in epoca sovietica e diventate insostenibili con la fine dell’impero comunista. Il primo conflitto aperto per il Nagorno-Karabakh scoppiò infatti all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, quando nell’agosto del 1991 Baku dichiarò l’indipendenza dall’Urss e il Nagorno Karabakh a maggioranza etnica armena si proclamò repubblica indipendente, appoggiata dall’Armenia e spalleggiata da Mosca. Dopo migliaia di morti, la disputa restò irrisolta e tutti i tentativi di negoziati senza esito risolutivo. Da allora ci sono state fasi di aperta conflittualità sui confini, sino allo scontro aperto nel 2020, ricomposto con una dichiarazione Trilaterale tra Baku, Erevan e la Federazione russa.
Gli equilibri nella regione sono molto cambiati. La Turchia da sempre ostile all’Armenia con Recep Tayyip Erdogan è rinnovata potenza regionale e si schiera apertamente con l’Azerbaigian. Nei giorni scorsi Ankara ha proposto ai leader di Russia, Azerbaigian e Armenia di organizzare un incontro a quattro sul Nagorno-Karabakh. Il governo armeno da settimane lamenta di essere stato “abbandonato” dai russi, non solo ‘distratti’ dalla guerra in Ucraina ma da anni impegnati per una soluzione della crisi tra i due Paesi caucasici che vedono come un freno anche ai propri progetti economici sul Caspio. Il governo armeno cerca nuove sponde e occhieggia agli Stati Uniti, con cui sono state organizzate esercitazioni militari di portata tuttavia contenuta.
Baku ha fatto sapere oggi di avere informato sia Mosca che la Turchia. La Federazione russa si è detta “preoccupata” per l’ulteriore escalation e ha invitato Azerbaigian e Armenia a fermare le violenze e tornare alla via diplomatica: è quanto riferito dal ministero degli esteri di Mosca, secondo cui il contingente russo per il mantenimento della pace nella regione continua a svolgere i propri compiti. Un appello all’Azerbaigian a fermare “immediatamente” l’operazione militare è arrivato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Intanto secondo i separatisti del Karabakh almeno due civili sono stati uccisi da colpi azerbaigiani e ci sarebbero una quindicina di feriti. Baku replica che gli obiettivi sono solo militari e non civili.
L’Armenia da parte sua denuncia un’aggressione contro la popolazione locale, mentre la Russia, tradizionale alleato di Erevan, si limita ad un appello a far tacere le armi. Tutti tasselli di un complesso ed esplosivo mosaico che il Caucaso meridionale ha ereditato dalle alchimie etniche (e dei relativi confini, all’epoca amministrativi) operate in epoca sovietica e diventate insostenibili con la fine dell’impero comunista.