Roma, 20 lug. (askanews) – L’acqua è un elemento fondamentale per la vita. Per gli astrofisici, però, rappresenta qualcosa in più. All’interno delle galassie, infatti la sua distribuzione e, in particolare, le sue transizioni di stato da ghiaccio a vapore sono considerate dai ricercatori delle preziose “bandierine di segnalazione” delle zone di maggiore energia, quelle dove si formano buchi neri e stelle. Lì dove c’è vapore acqueo, insomma, accade qualcosa di importante.
Una nuova ricerca della SISSA svela ora la distribuzione dell’acqua all’interno della galassia J1135 formatasi in un Universo “teenager”, lontano 12 miliardi di anni luce, 1,8 miliardi di anni dopo il Big Bang, già studiato in una precedente ricerca della SISSA. Questa vera e propria “mappa dell’acqua”, ottenuta per la prima volta in una galassia così remota e con inedita risoluzione, è al centro di una pubblicazione appena apparsa su “The Astrophysical Journal”. Il risultato, spiegano gli autori, potrebbe permettere di comprendere i processi fisici che animano l’interno di J1135 ma anche di fare luce sulle dinamiche ancora in parte sconosciute legate alla formazione delle stelle, dei buchi neri e delle galassie stesse.
“Oltre che sulla Terra, l’acqua può trovarsi ovunque nello spazio, in stati diversi. Sotto forma di ghiaccio è presente, per esempio, nelle cosiddette nubi molecolari, regione dense di polvere e gas dove nascono le stelle” spiega Francesca Perrotta, prima autrice della ricerca che è stata condotta dal gruppo di Galaxy Observational and Theoretical Astrophysics (GOThA) della SISSA. “Il ghiaccio agisce come un mantello che ricopre la superficie dei grani di polvere interstellare. Questi grani sono le componenti di base delle nubi molecolari e i principali catalizzatori della formazione delle molecole nello spazio”. “Talvolta – continua la scienziata – accade qualcosa che rompe la quiete e il freddo di queste nubi: per esempio la nascita di una stella, che rilascia calore, o di un buco nero, che aggrega materia emettendo energia. Come conseguenza di questi fenomeni, l’acqua ghiacciata sublima in vapore acqueo”.
Nella fase di raffreddamento – spiega SISSA – il vapore acqueo emette luce nell’infrarosso: gli astrofisici possono così utilizzarlo come un vero e proprio tracciante per identificare le regione in cui l’energia viene prodotta e, di conseguenza, “avere un inedito sguardo sui meccanismi di formazione delle galassie”. Questa mappatura si aggiunge a quelle di altre molecole come il monossido di carbonio (CO), utilizzati anch’esse come traccianti per studiare questi fenomeni.
Lo studio di questa galassia così lontana è stato possibile grazie al cosiddetto “lensing gravitazionale” che consente di osservare corpi celesti molto lontani grazie alla presenza di oggetti spaziali dotati di grande massa e più vicini a noi. Per i principi della relatività generale, questi corpi vicini distorcono la luce preveniente da sorgenti posizionate dietro questi stessi oggetti ma con essi perfettamente allineati diventando una sorta di grandissima lente cosmica, che permette di trovare e studiare galassie anche molto lontane. Il lensing è stato uno fenomeno centrale anche in un’altra recente ricerca della SISSA dedicata proprio alla scoperta di J1135.
Questo studio, spiega Francesca Perrotta, acquisisce valore anche perché approfondisce la conoscenza in un ambito importante: “Non è ancora così chiaro come si formano le galassie. Ci sono almeno due scenari possibili, non necessariamente alternativi: uno prevede l’aggregazione di piccole galassie per crearne di più grandi, e l’altro prevede formazione stellare in situ. Indagini come quella da noi effettuata ci aiutano a capire cosa stia succedendo in quella galassia in particolare, ma anche a trarre delle possibili informazioni più generali”. Future osservazioni, come quelle fatte dal James Webb Space Telescope, il più grande telescopio mai inviato nello Spazio, potranno in questo senso rivelare ulteriori dettagli su J1135, permettendo un mapping più accurato delle sue molecole.
“I notevoli risultati ottenuti in questo lavoro – commenta il professor Andrea Lapi, coautore dello studio e co-PI di GOThA – sono stati possibili grazie allo sforzo collaborativo di alcuni ricercatori senior e di una moltitudine di giovani scienziati di talento, dottorandi e postdoc, che padroneggiano diverse competenze, dall’analisi dei dati osservativi alle tecniche numeriche e di scienza dei dati, fino alla modellazione e all’interpretazione teorica. Vorrei sottolineare la capacità dei membri del nostro team di acquisire rapidamente un solido background, di riorientare le proprie azioni e di produrre risultati originali e all’avanguardia in campi di ricerca nuovi e inesplorati, come l’astrochimica nell’Universo distante. Questo è il modo in cui la ricerca in (astro)fisica dovrebbe procedere”.