Milano, 19 lug. (askanews) – Arriva dalla curcuma un aiuto alle barriere coralline nel contrasto ai danni provocati dai cambiamenti climatici, in particolare contro il fenomeno dello sbiancamento. L’IIT-Istituto Italiano di Tecnologia, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Acquario di Genova, hanno infatti recentemente pubblicato su “ACS Applied Materials and Interfaces”, uno studio dove è stata dimostrata l’efficacia della curcumina – sostanza antiossidante naturale estratta dalla curcuma – nel ridurre lo sbiancamento dei coralli. IIT e Università Bicocca hanno anche sviluppato un biomateriale biodegradabile per somministrare la molecola senza provocare danni all’ambiente marino circostante. I test eseguiti all’Acquario di Genova hanno poi dimostrato un’efficacia significativa della soluzione trovata nel prevenire lo sbiancamento dei coralli.
La curcumina viene somministrata in maniera controllata sul corallo applicando un biomateriale a base di zeina, una proteina derivata dal mais, che è stato sviluppato dagli stessi partner per essere sicuro per l’ambiente. Durante i test, svolti nell’Acquario di Genova, si sono simulate le condizioni di surriscaldamento dei mari tropicali alzando la temperatura dell’acqua fino a 33°C. In questa condizione tutti i coralli non trattati sono risultati colpiti dal fenomeno dello sbiancamento come succederebbe in natura mentre, al contrario, tutti gli esemplari trattati con la curcumina non hanno mostrato segni del fenomeno: risultati che dimostrano l’efficacia del metodo nel ridurre la suscettibilità dei coralli allo stress termico. Nello studio è stata utilizzata una specie di corallo (Stylophora pistillata) tipica dell’oceano Indiano tropicale e inserita nella Lista rossa IUCN – l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura – tra le specie minacciate dal rischio di estinzione.
“Questa tecnologia è oggetto di una domanda di brevetto depositata, infatti i prossimi passi di questa ricerca si focalizzeranno sull’applicazione in natura e su larga scala – afferma il primo autore dello studio Marco Contardi, ricercatore affiliato del gruppo Smart Materials dell’Istituto Italiano di Tecnologia e ricercatore del DISAT, il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca – Allo stesso tempo, esamineremo l’utilizzo di altre sostanze antiossidanti di origine naturale per bloccare il processo di sbiancamento e prevenire così la distruzione delle barriere coralline”.
“L’utilizzo di nuovi materiali biodegradabili e biocompatibili capaci di rilasciare sostanze naturali in grado di ridurre lo sbiancamento dei coralli rappresenta una novità assoluta – aggiunge Simone Montano ricercatore del DISAT e vice direttore del MaRHE center, il Marine Research and Higher Education Center dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca – Credo fortemente che questo approccio innovativo rappresenterà una trasformazione significativa nello sviluppo di strategie per il recupero degli ecosistemi marini”.
Lo sbiancamento dei coralli è un fenomeno che, negli eventi estremi, determina la morte di questi organismi con conseguenze devastanti per le barriere coralline. La maggior parte dei coralli vive in simbiosi con alghe microscopiche, indispensabili per la loro sopravvivenza e responsabili dei loro colori brillanti. A causa dei cambiamenti climatici le temperature di mari e oceani sono in aumento, condizione che interrompe il rapporto tra questi due organismi. Quando ciò accade, il corallo, ormai bianco per la perdita delle alghe, rischia letteralmente di morire di fame.
Negli ultimi anni, a seguito dei cambiamenti climatici, questa condizione ha colpito la maggior parte delle barriere scogliere coralline più importanti del mondo, inclusa la Grande Barriera Corallina australiana. Ma a oggi non esistono interventi di mitigazione efficaci per prevenire lo sbiancamento dei coralli senza mettere in serio pericolo l’integrità di questi habitat e l’eccezionale biodiversità associata.
(Nella foto: Corallo Stylophora pistillata ricoperto del biomateriale durante le prove di stress termico – Credits: Università Milano-Bicocca)