Pomodoro 100% etico: così l’inglese Princes vince caporalato nel Foggiano – askanews.it

Pomodoro 100% etico: così l’inglese Princes vince caporalato nel Foggiano

Ricerca Oxfam Italia: 100% contratti regolari, no intermediari assunzioni
Lug 13, 2023

Milano, 13 lug. (askanews) – Una filiera del pomodoro “etica” in Puglia, nell’area più vocata quella del Foggiano, che mostra “aspetti interessanti e positivi” in relazione alla lotta al fenomeno del caporalato e dello sfruttamento degli agricoltori. L’ha realizzata, al termine del primo triennio di contratto di filiera (2019-2021), Princes industria alimentare, il più grande trasformatore di pomodoro in Europa con il suo stabilimento a Foggia e parte di un gruppo internazionale basato nel Regno Unito. A certificarlo è Oxfam Italia che ha realizzato una indagine sulle condizioni di vita e impiego dei lavoratori lungo la filiera, presentata in occasione di un incontro per l’avvio della campagna del pomodoro 2023.

La ricerca, condotta su 218 lavoratori e lavoratrici impiegati in 43 aziende agricole, aderenti a 19 cooperative fornitrici di Princes Industrie Alimentari, ha mostrato la piena regolarità dei contratti: il 100% dei lavoratori ha un contratto scritto, con una prevalenza di stagionali (92%) della durata di massimo sei mesi (la maggior parte dei/delle partecipanti – 43% – ha un contratto della durata inferiore a sei mesi, e un ulteriore 38% lo aveva di sei mesi). Si tratta di manodopera che lavora in agricoltura da più di tre anni e nel 66% dei casi sono lavoratori riconfermati e riassunti dalla stessa azienda agricola con lo stesso inquadramento contrattuale dell’anno precedente.

“Per garantire l’affermazione del pomodoro 100% etico e made in Capitanata è necessario rinsaldare e rendere fattiva la collaborazione tra tutte le parti votata ad un unico obiettivo, veicolando investimenti e impegno a favore della sostenibilità sociale, economica e ambientale della filiera e dell’evoluzione in chiave 4.0 del settore – ha commentato Gianmarco Laviola, amministratore delegato di Princes Industrie Alimentari – La ricerca che abbiamo condotto con Oxfam Italia è uno dei frutti di questo impegno e mostra come le azioni congiunte e la condivisione di obiettivi possano generare benefici concreti sulla comunità cui ci rivolgiamo.

Indagando le dimensioni più rilevanti del fenomeno del caporalato in agricoltura, la ricerca di Oxfam Italia per Princes ha confermato che il reclutamento della manodopera avviene regolarmente: tutti gli intervistati dicono di averlo trovato autonomamente o tramite passaparola, ma in ogni caso di non aver pagato nessun intermediario per averlo. Allo stesso modo, il 100% ha confermato di non essere vittima di ricatto tramite la consegna dei suoi documenti di identità, e il 99% ha dichiarato di sentirsi libero di porte lasciare il proprio posto di lavoro qualora trovasse nuove e migliori opportunità.

Sul fronte salariale, l’87% dei lavoratori viene pagato a ore e non a giornata, e nel 92% dei casi riceve lo stipendio tramite bonifico bancario. Per quasi nove su dieci lo stipendio guadagnato nella raccolta dei pomodori è sufficiente a coprire i bisogni primari propri e della famiglia compreso alloggio, cibo e trasporti, ma nel 30% dei casi dichiarano di dover lavorare più di otto ore al giorno per assicurare a sé stessi e alle loro famiglie standard di vita più adeguati. Anche per quanto riguarda gli orari di lavoro, il 98% non riceve richieste di lavoro straordinario non retribuito e gli straordinari vengono pagati di più rispetto alla tariffa standard. Il 70% di loro ha espresso la sensazione di equità di trattamento economico rispetto ai propri colleghi.

Ma chi sono i lavoratori impiegati nella raccolta del pomodoro? Si tratta prevalentemente di uomini (97%), per lo più di origine straniera e in particolare da paesi africani (75%), con un numero di familiari a carico maggiore di tre (74%) e un basso livello di istruzione (63%). Tra la manodopera di origine straniera Oxfam Italia segnala un basso livello di conoscenza della lingua italiana (52%) a fronte di una permanenza di medio lungo periodo nel nostro Paese, con l’82% dei partecipanti in Italia da almeno 5 anni.

Altro aspetto notoriamente più critico della lotta al caporalato in Capitanata è la dimensione abitativa, legata alla diffusione di “insediamenti informali” e “ghetti” su tutta la provincia di Foggia, e quella del trasporto sui campi, storicamente appannaggio del sistema del caporalato locale. Nel primo caso, i dati confermano una prevalenza di informalità col 57% che dichiara di vivere in case occupate, presso amici o non hanno voluto esprimersi. Il 42% invece dice di avere un regolare contratto di affitto, mentre il 16% alloggia presso abitazioni messe a disposizione dal datore di lavoro. Tutti i lavoratori italiani vivono invece in abitazioni formali di proprietà o con regolare contratto di affitto. Per quanto riguarda il trasporto sul campo, i dati evidenziano che per quasi la metà (49%) il datore di lavoro offre il servizio di trasporto al campo in modo gratuito. La modalità più frequentemente usata è quella del rimborso chilometrico al lavoratore che si occupa di passare a prendere e riaccompagnare i suoi colleghi con la propria automobile. Un ulteriore 15% dei lavoratori, tutti stranieri, raggiunge i campi a piedi o in bicicletta, il 9% in motorino, mentre un ulteriore 19% si sposta in macchina in gruppo pagando 5 euro al giorno. Dalla ricerca, tuttavia, emerge la completa assenza di formazione tecnica o relativa ai diritti del lavoro a fronte di un alto interesse da parte dei lavoratori ad essere formati sulla contrattualistica e i diritti del lavoro (82%).

Se poi il 92% dei lavoratori è in possesso di dispositivi di protezione individuali (elmetto, gilet alta visibilità e scarpe antinfortunistiche) messi a disposizione per l’82% dalle stesse aziende agricole e la totalità delle persone ha dichiarato di poter andare in bagno e bere acqua quando ne hanno bisogno, per il 78% dei casi non era distribuita acqua fresca durante la giornata lavorativa.

I risultati di questa ricerca, dunque, tracciano un quadro di una filiera del pomodoro etica messa in piedi dalla multinazionale inglese, ma Oxfam avverte che si tratta di un’oasi felice rispetto al fenomeno del caporalato e dello sfruttamento in agricoltura, aspetti si legge nella ricerca che “verosimilmente sono molto diversi dal resto della popolazione lavorativa agricola nella Capitanata”. I risultati raggiunti da Princes sono il frutto di “un lavoro pluriennale di selezione e dialogo con i fornitori che ha realizzato nel territorio, a partire dal primo contratto di filiera e anche in precedenz” insieme “ad azioni più specifiche destinate ai lavoratori realizzate nell’ambito dell’accordo di filiera con Coldiretti”.

Le principali criticità emerse (barriere linguistiche, scarsa conoscenza dei contratti, meccanismi di reclamo e rimedio, alloggi e trasporto) appaiono più legate a fenomeni trasversali inerenti all’integrazione socio-economica dei lavoratori stranieri, piuttosto che a dinamiche proprie della catena di fornitura. Tuttavia Princes dovrà continuare a rafforzare la collaborazione con tutti gli stakeholder per prevenire e mitigare il rischio di violazioni dei diritti umani nella propria catena del valore. In particolare, suggerisce Oxfam Italia, a livello territoriale con le aziende agricole, le istituzioni, la società civile, i sindacati sarà necessario riflettere su nuove azioni congiunte per migliorare una situazione che da un lato mostra un quadro relativamente stabile della manodopera e della relativa situazione lavorativa e, dall’altro, fattori di integrazione ancora molto deboli.

La ricerca sarà estesa nel corso delle prossime stagioni di raccolta del pomodoro, spiega l’azienda, in quanto costituisce uno strumento utile per monitorare l’impatto delle iniziative congiunte rispetto alle complessità strutturali della filiera.