Roma, 23 mag. (askanews) – “In Veneto dopo le due recenti grandi alluvioni del 2018 con la tempesta Vaia e del 2010 sono stati sì messi in campo interventi nel vicentino e nel veronese, o anche alcune azioni per il rafforzamento di argini, penso ad esempio al basso Piave. Tutto ciò però non basta per poterci sentire davvero al sicuro. Molto c’è ancora da fare nella nostra regione sulla manutenzione dei reticoli idrici, così come per i bacini di laminazione, ne mancano 8 su 23 previsti, e anche per affrontare – in un’ottica di piano integrato del sistema idrico regionale – la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, la siccità che rende il terreno impermeabile, specie alle “bombe d’acqua”, la qualità dei sistemi fluviali e – soprattutto – l’eccessivo consumo di suolo anche a fronte di una legge regionale, la 14/2017, che è del tutto inefficace allo scopo. A normativa vigente il Veneto è secondo dopo la Lombardia per terreno consumato. Infine, c’è l’annosa questione del medio corso del Piave con la nota vicenda della “casse di Ciano del Montello”. Il Partito Democratico Veneto, con incontri e dibattiti e visite di esponenti del Governo, si ricordi quella del 2019 con l’allora Sottosegretario all’Ambiente Roberto Morassut, ha sempre mantenuto una chiara posizione di sintesi tra le giuste rivendicazioni delle comunità locali e il tema sicurezza della sicurezza idraulica di tutti i comuni rivieraschi nelle tre province venete toccate. Attendiamo con rispetto la decisione del Tribunale delle Acque di Roma ma da noi nessuna “sindrome Nimby”, semmai la voglia di un percorso nuovo anche nelle soluzioni idrauliche prospettate per risolvere la sicurezza del Piave visto il cambio di scenario dovuto al clima che cambia. Un fiume di cui ci si ricorda solo in determinate occasioni e che forse oggi non mormora più per i tanti interessi che si incrociano dalle sue sponde”. Lo afferma Matteo Favero, Responsabile Forum Ambiente e Infrastrutture del PD Veneto.