Turchia, Anghelone: “Era Erdogan non finita, rischio instabilità” – askanews.it

Turchia, Anghelone: “Era Erdogan non finita, rischio instabilità”

Coordinatore Osservatorio Mediterraneo: per la prima volta vittoria contesa
Mag 3, 2023

Roma, 3 mag. (askanews) – Attenzione a parlare della fine di un’era, gli elementi di novità e di rischio nella tornata elettorale turca del 14 maggio sono tanti, ma per il capo di stato Recep Tayyip Erdogan non è ancora la parola fine e gli scenari di uno scrutinio al ballottaggio all’ultima scheda potrebbero creare una forte instabilità nel Paese che condizionerebbe anche l’intero quadrante del Mediterraneo e gli interessi di Europa e Stati uniti nell’area. A fare il quadro della situazione a 10 giorni dalle elezioni presidenziali e politiche in Turchia è Francesco Anghelone, coordinatore dell’Osservatorio sul Mediterraneo dell’Istituto di studi politici “S.Pio V” che parlando ad askanews ha spiegato quali sono le differenze rispetto al 2018, data della vittoria schiacciante del leader turco.

“I sondaggi ci dicono che i due candidati sono molto vicini. Starei molto attento a dire che è finita l’era di Erdogan, ma abbiamo un dato nuovo rispetto agli ultimi 20 anni, si tratta di elezioni contese”, spiega parlando dell’attuale situazione che vede il capo di stato uscente leggermente sotto lo sfidante Kemal Kilicdaroglu, candidato della coalizione di opposizione. “Sia con il vecchio sistema elettorale con la candidatura a capo del governo sia con l’attuale, con l’elezione diretta del presidente che dà al capo di stato un potere assoluto, dal 2018, Erdogan non ha mai vissuto elezioni realmente contese. Basta pensare che nel 2018 vinse al primo turno con il 52%. Inoltre, per la prima volta le opposizioni si sono presentate con un candidato unico”, sottolinea Anghelone.

Nonostante l’Alleanza nazionale sia eterogenea, “tema che è stato portato come elemento di debolezza della coalizione”, al suo interno si trovano figure come “Alì Babacan, che è stato ministro delle Finanze con il capo di Stato in carica, o Ahmet Davutoglu, ex ministro degli Esteri e premier, che da studioso con il suo volume sulla ‘profondità strategica turca’ è stato il teorico della ivoluzione della politica estera turca, definita neo-ottomana. Si tratta di due figure che hanno preso le distanze dall’Akp ma che sono state molto legate a Erdogan”, aggiunge l’esperto.

“L’altro elemento importante e di novità è il sostegno del partito dei curdi, l’Hdp, per Kilicdaroglu, non era scontato – prosegue – questi fattori messi uno a fianco all’altro rendono evidente come la stretta autoritaria che ha messo in campo Erdogan, con un’accelerazione dopo il tentato golpe del 2016, abbia veramente fratturato il Paese in due parti e abbia determinato uno scontento profondo, una lotta tra il bene e il male. E per la prima volta Erdogan rischia, perché affronta un fronte compatto in una congiuntura economica sfavorevole”.(Segue)