Milano, 17 apr. (askanews) – I viticoltori australiani vogliono proseguire ad utilizzare il termine “Prosecco” per i loro vini, mentre i produttori italiani sottolineano che questo non è possibile perché “Prosecco” non è il nome di un’uva ma una Denominazione geografica protetta. Il braccio di ferro va avanti da tempo, e oggi l’Italia punta sull’accordo di libero scambio Ue-Australia per costringere gli australiani a toglierlo dalle loro etichette. In questo scenario, i viticoltori di quelo Continente lanciano una nuova offensiva per cercare di dimostrare che “Prosecco” è il nome di un vitigno: una nuova occasione di scontro in una guerra che vale miliardi.
“Winetitles Media”, storico e principale editore dell’industria del vino australiano e neozelandese, dà infatti la notizia sul suo sito di una nuova ricerca condotta dal docente di Diritto, Mark Davison, e dal team della Facoltà di Giurisprudenza della Monash University di Melbourne e della Macquarie Law School della Macquarie University di Sydney dall’inequivocabile titolo “The European Union’s attempts to limit the use of the term ‘Prosecco’” (“I tentativi dell’Unione Europea di limitare l’uso del termine ‘Prosecco’”, ndr).
Nell’articolo si spiega che “il report, frutto di cinque anni di ricerche e supportato da ampie prove che risalgono al 1.700, dimostra che il Prosecco è un vitigno e che è stato ampiamente accettato a livello internazionale come tale, come dimostrano le prove portate dall’industria vinicola italiana e dell’Unione Europea”. “Il rapporto sottolinea inoltre la mancanza di evidenze che giustifichino il governo italiano e l’Unione Europea che nel 2009 hanno cambiato il nome del vitigno Prosecco in ‘Glera’ nell’Unione Europea”.
Storicamente il Prosecco è un vitigno coltivato nelle province friulane di Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine, e in quelle venete di Belluno, Padova, Treviso, Venezia e Vicenza, ma intorno alla fine degli anni Novanta, le sue barbatelle sono state vendute alle Cantine australiane che hanno iniziato a produrlo dal 2001. Nel 2009 il governo italiano ha appunto stabilito con un decreto che il vitigno Prosecco fosse denominato Glera all’interno dell’Ue, registrando il Prosecco come IG in Europa. Se diventasse Indicazione geografica anche in Australia, i vignaioli locali non potrebbero più utilizzarlo per commercializzare i propri spumanti realizzati con quelle uve.
“Proteggere il termine come indicazione geografica è un cinico tentativo di evitare la concorrenza dei produttori di vino australiani” ha dichiarato il professor Davison a “Winetitles Media”, ricevendo il plauso del Ceo di Australian Grape & Wine, Lee McLean, che ha ricordato che “il governo australiano ha sollevato una serie di eccezioni (“public objections”, ndr) sulle Indicazioni geografiche (IG) dell’UE, tra cui il Prosecco”. “I rischi di vietare al nostro settore la possibilità di utilizzare nomi di varietà d’uva ben consolidati sono significativi” ha spiegato McLean, dato che, come sottolinea la testata, il Prosecco australiano ha raggiunto un valore di oltre 200 milioni di dollari, è una varietà coltivata in venti regioni in tutta l’Australia e al momento sta ottenendo il secondo prezzo medio più alto di qualsiasi altra varietà di uva bianca”.
Nel 2022 il nostro Prosecco Doc ha venduto oltre 638,5 milioni di bottiglie (l’80% delle quali destinate all’estero) per un valore complessivo di circa 3,2 miliardi di dollari.