Milano, 28 mar. (askanews) – Il mercato delle bevande senza alcol o con ridotto tenore alcolico è in costante crescita (+18% CAGR a valore 2019-2021 per distillati e liquori “low/no”) e quello dell’Ue vale circa 7,5 mld di euro, trainato in gran parte dalla birra, con il “vino” che si attesta a 322 milioni di euro e gli alcoli (i distillati e liquori senza alcol) a 168 milioni. La stima è della società Areté che ha realizzato uno studio per la Commissione UE, da cui emerge che in valore assoluto questo segmento rappresenta ancora una nicchia di mercato, in genere contribuendo a meno dell’1% del rispettivo mercato di riferimento (con l’eccezione della birra).
Tra i Paesi UE che trainano il mercato vi sono Francia, Spagna, Germania e Belgio (in totale, 84% del mercato UE per i superalcolici e 91% del mercato UE dei vini aromatizzati “low/no”), mentre fuori dall’Europa i mercati più vivaci sono quelli australiano e statunitensi, con un valore stimato rispettivamente di circa due miliardi e un miliardo di euro ciascuno. Se la birra è di gran lunga il prodotto più venduto, in alcuni Paesi sta avanzando anche il consumo di vini dealcolizzati e versioni a gradazione ridotta dei distillati più diffusi, come in Francia dove il vino a basso tenore di alcol ha raggiunto nel 2021 un valore di mercato stimato a 166 milioni di euro, e nel Regno Unito, primo mercato per le alternative “low-no alcohol” ai superalcolici, con vendite per 98 milioni di euro.
La ricerca Areté stima in circa 8 milioni di euro il mercato italiano delle bevande “low/no” nel 2021 (lo 0,1% del totale della categoria), a fronte dei 78 milioni di euro del mercato francese. Cifre ancora più ridotte per i vini aromatizzati, rappresentati principalmente dalle alternative al Vermouth, con vendite stimate in meno di un milione di euro. Un po’ meglio il vino (parzialmente) dealcolizzato, con un mercato nazionale stimato di circa 30 milioni di euro, nettamente in rincorsa rispetto a Francia (166 milioni) e Germania (69 milioni). I dati Euromonitor International analizzati per lo studio dall’azienda italiana specializzata nella valutazione di politiche per il settore agroalimentare, fanno però intravedere previsioni di forte crescita nei prossimi anni (+23% di tasso di crescita medio annuo 2021-2026 per i superalcolici “low/no”), in linea con le aspettative di molti operatori, che vedono in questo mercato un grande potenziale per raggiungere nuove categorie di consumatori (si pensi ad esempio a chi non beve alcolici per motivi religiosi) ed allinearsi a trend di consumo ormai consolidati (quali la preferenza per prodotti più salutari).
Da un’indagine effettuata su oltre 5.500 rispondenti in 15 Paesi UE, risulta che il 59% dei consumatori dell’UE dichiara un atteggiamento generalmente positivo, di curiosità, nei confronti di queste bevande in quasi tutti i principali mercati europei, mentre solo il 6% ha riferito una reazione negativa. Insieme ai benefici per la salute (ai primi posti per il 31% dei rispondenti), la qualità del prodotto è considerato l’aspetto più importante. Una bassa qualità percepita e la marcata differenza di sapore rispetto alla corrispondente bevanda alcolica, sono citate come fattori atti a scoraggiare il consumo per il 25%-30% dei consumatori interpellati. Gli under 35, in particolare, paiono più attenti a stili di vita sani e sono generalmente più inclini a provare prodotti nuovi (per esempio versioni “low/no” dei distillati o dei vini aromatizzati) discostandosi dalla tradizione, mentre tra i consumatori più adulti la birra analcolica o a bassa gradazione è il prodotto che suscita maggior interesse.
Areté sottolinea che uno degli aspetti critici, con impatti anche sugli andamenti di mercato, è la normativa. Ad oggi non esiste una definizione legale di “bevanda alcolica” nella legislazione alimentare dell’UE e il quadro normativo per i prodotti di questa categoria può variare in modo significativo da un Paese all’altro e tra prodotti diversi, così come la possibilità di commercializzare versioni alcohol free o a ridotta gradazione alcolica. Queste differenze diventano particolarmente evidenti soprattutto in tema di etichettatura e di denominazioni di vendita autorizzate: mentre la possibilità di produrre (e commercializzare come tali) vini dealcolizzati è stata introdotta dalla più recente riforma PAC del 2021, ad oggi è vietato etichettare come gin, vodka o whiskey bevande che ne imitano il sapore ma che hanno un tenore alcolico ridotto.